RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
VIVA I BIDELLI :: *Gli altri sono "i belli" e noi siamo "i bidelli"* :: Temi politici, sociali ed un po' filosofici
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RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
1) Può tentare un discorso critico sulla democrazia, e mettere in discussione questo “ideale”, soltanto chi è al di sopra di ogni sospetto, per non aver mai tradito il “valore” in questione, pur avendone la possibilità. Coloro che mi conoscono e mi hanno seguito nelle mie esperienze di sindacalismo, e nelle altre attività che comportavano responsabilità collettive (dalle raccolte di firme, alle scelte di regali di gruppo, alle assemblee di condominio), sanno che nel limitato ambito della mia esperienza io posso rivendicare a gran voce la posizione privilegiata che ho definito più sopra. Io la democrazia non l'ho mai tradita, e sono sempre stato un suo ringhioso “cane da guardia”. Non che amassi molto questa “forma culturale” e “modalità organizzativa”: emotivamente mi ha sempre dato pure fastidio, perché livella le persone di valore allo stesso piano dei cretini, e dà spazio pericoloso ai cattivi e ai malvagi. Ma non ho mai trovato un criterio più valido ed universale, per le decisioni di una comunità, e sono una persona rigorosa, coerente, mai ipocrita: se le regole del gioco sono queste, condivise ed accettate da tutti i giocatori, non è lecito trasgredirle.
2) Fin da giovanissimo, sono sempre stato caratterizzato da un fortissimo relativismo, non sul piano etico, ma come “dottrina della relatività della conoscenza”. Questo mio tratto mentale costitutivo, divenne pure un tratto culturale quando incontrai in ambito universitario la sociologia della conoscenza. Questa disciplina ci dona un prezioso insegnamento: che tutto il nostro sapere è generato, non da un freddo intelletto imparziale sospeso nel vuoto, ma da condizioni storiche e sociali (in gran parte economiche), sulle quali le nostre categorie mentali poggiano come “sovrastrutture”. Ricordo l'insegnamento di un professore illuminato, che suonava più o meno così: se oggi noi guardiamo con compatimento a certe idealità e categorie mentali del passato (come ad esempio il nazionalismo, o il primato dell'uomo sulla donna) dobbiamo attenderci che i posteri compatiscano un giorno anche noi, per certi nostri “credi” attuali che ci paiono sacri, imprescindibili, definitivi. Questo professore ebbe il coraggio di citare la DEMOCRAZIA fra le forme culturali che il futuro supererà e irriderà.
(Continua)
2) Fin da giovanissimo, sono sempre stato caratterizzato da un fortissimo relativismo, non sul piano etico, ma come “dottrina della relatività della conoscenza”. Questo mio tratto mentale costitutivo, divenne pure un tratto culturale quando incontrai in ambito universitario la sociologia della conoscenza. Questa disciplina ci dona un prezioso insegnamento: che tutto il nostro sapere è generato, non da un freddo intelletto imparziale sospeso nel vuoto, ma da condizioni storiche e sociali (in gran parte economiche), sulle quali le nostre categorie mentali poggiano come “sovrastrutture”. Ricordo l'insegnamento di un professore illuminato, che suonava più o meno così: se oggi noi guardiamo con compatimento a certe idealità e categorie mentali del passato (come ad esempio il nazionalismo, o il primato dell'uomo sulla donna) dobbiamo attenderci che i posteri compatiscano un giorno anche noi, per certi nostri “credi” attuali che ci paiono sacri, imprescindibili, definitivi. Questo professore ebbe il coraggio di citare la DEMOCRAZIA fra le forme culturali che il futuro supererà e irriderà.
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Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
La democrazia, come dato fattuale, appare oggi in crisi o in decadenza in Italia e nel resto d'Europa. Nel nostro paese, il ruvido decisionismo dell'attuale governo è stato finora accettato dal popolo, che desidera una cosa su tutte: assicurarsi il pane per oggi e per domani. Ma è ancora niente, rispetto a quello che si prepara in questi giorni per il futuro dell'Italia, se condividiamo l'analisi rigorosa di Marco Travaglio: http://linkis.com/youtu.be/ucvDA . Inoltre, uno schieramento politico trasversale, attualmente maggioritario, sta per modificare la Costituzione senza colpo ferire e senza un adeguato coinvolgimento popolare (diretto o indiretto che sia).
Nell'Europa comunitaria, passa come cosa normale e con relativa “tranquillità”, la cessione di quote impressionanti di sovranità nazionale dai singoli stati a... a... a chi??? Ad entità sovranazionali che sfuggono al controllo dei cittadini europei.
Abbiamo detto che la crisi della democrazia riguarda tutta l'Europa comunitaria, e non è certo dire poco. Ma per poterla interpretare come fenomeno planetario, ci appelliamo alla stessa legge sociologica richiamata più sopra, considerata in tutta la sua estensione: non solo le categorie “spirituali” di un popolo, ma anche le obiettivissime istituzioni sociali, sono “sovrastruttura” di determinati fenomeni e dinamiche materiali. Quando dunque la struttura portante è uguale o molto simile, sono da attendersi connotazioni e dinamiche di superficie altrettanto simili, ovvero analoghi tratti e fenomeni culturali. Nel mondo occidentale d'oggi, ovvero nel mondo “democratico”, vi sono potenti motivi strutturali uguali per tutti, come il venir meno delle risorse energetiche tradizionali e la difficoltà di competere con le economie emergenti, a causa della “zavorra” costituita dalla stessa civiltà europea (leggi stato sociale e diritti dei lavoratori). Chi sta meglio, chi addirittura vive un boom economico, si trova su una lastra di ghiaccio., che non potrà reggere all'infinito. Presto quindi il decadimento della democrazia riguarderà proprio tutti.
Quanto detto finora concerne la democrazia nella sua fattualità, ma non ancora nella sua rappresentazione sociale, ovvero nella concezione che ne ha la gente. Il nostro presente tema di riflessione (se non sono stato chiaro fin qui, lo sarò da questo punto in avanti) è però proprio questo: la democrazia come dato di mentalità collettiva, cioè come viene percepita, concepita e sentita dalle persone facenti parte della nostra cultura.
(Continua)
La democrazia, come dato fattuale, appare oggi in crisi o in decadenza in Italia e nel resto d'Europa. Nel nostro paese, il ruvido decisionismo dell'attuale governo è stato finora accettato dal popolo, che desidera una cosa su tutte: assicurarsi il pane per oggi e per domani. Ma è ancora niente, rispetto a quello che si prepara in questi giorni per il futuro dell'Italia, se condividiamo l'analisi rigorosa di Marco Travaglio: http://linkis.com/youtu.be/ucvDA . Inoltre, uno schieramento politico trasversale, attualmente maggioritario, sta per modificare la Costituzione senza colpo ferire e senza un adeguato coinvolgimento popolare (diretto o indiretto che sia).
Nell'Europa comunitaria, passa come cosa normale e con relativa “tranquillità”, la cessione di quote impressionanti di sovranità nazionale dai singoli stati a... a... a chi??? Ad entità sovranazionali che sfuggono al controllo dei cittadini europei.
Abbiamo detto che la crisi della democrazia riguarda tutta l'Europa comunitaria, e non è certo dire poco. Ma per poterla interpretare come fenomeno planetario, ci appelliamo alla stessa legge sociologica richiamata più sopra, considerata in tutta la sua estensione: non solo le categorie “spirituali” di un popolo, ma anche le obiettivissime istituzioni sociali, sono “sovrastruttura” di determinati fenomeni e dinamiche materiali. Quando dunque la struttura portante è uguale o molto simile, sono da attendersi connotazioni e dinamiche di superficie altrettanto simili, ovvero analoghi tratti e fenomeni culturali. Nel mondo occidentale d'oggi, ovvero nel mondo “democratico”, vi sono potenti motivi strutturali uguali per tutti, come il venir meno delle risorse energetiche tradizionali e la difficoltà di competere con le economie emergenti, a causa della “zavorra” costituita dalla stessa civiltà europea (leggi stato sociale e diritti dei lavoratori). Chi sta meglio, chi addirittura vive un boom economico, si trova su una lastra di ghiaccio., che non potrà reggere all'infinito. Presto quindi il decadimento della democrazia riguarderà proprio tutti.
Quanto detto finora concerne la democrazia nella sua fattualità, ma non ancora nella sua rappresentazione sociale, ovvero nella concezione che ne ha la gente. Il nostro presente tema di riflessione (se non sono stato chiaro fin qui, lo sarò da questo punto in avanti) è però proprio questo: la democrazia come dato di mentalità collettiva, cioè come viene percepita, concepita e sentita dalle persone facenti parte della nostra cultura.
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Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
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La democrazia, dal primo dopoguerra in avanti, è stata vissuta in Italia e nell'Europa occidentale come istanza imprescindibile. I popoli erano reduci da dittature soffocanti e spietate, sicché l'antitesi o antidoto naturale all'oppressione, veniva percepito non come medicina né come ritrovato ingegnoso e benefico dell'inventiva umana, ma come faccia dell'assoluto: un profilo del VERO, DEL GIUSTO, DEL BENE. La democrazia aveva preso il posto di ideologie precedenti, divenendo essa stessa una ideologia, ovvero una verità parziale che si arroga la pretesa di essere TOTALE. Di essere il vero ed il bene nella sfera delle decisioni politiche, l'UNICO BENE POSSIBILE.
Vi furono, nella storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, alcuni momenti critici, situazioni topiche in cui la democrazia ed il bene sociale si scollarono e si contrapposero fra loro con drammatica evidenza. Qui ed ora io rammento due di queste vicende di contrasto, verificatesi entrambe nella storia del sindacalismo nazionale, ai massimi livelli: 1) Bruno Trentin si dimise dalla carica di segretario nazionale della CGIL subito dopo aver firmato assieme a CISL e UIL un accordo concernente la politica dei redditi; questo accordo sanciva la fine della SCALA MOBILE. Trentin non aveva alcun mandato “democratico” per quella firma, ed anzi la base della sua organizzazione sindacale era nettamente, fortemente, fieramente contraria a quella decisione. Trentin si trovò ad un bivio. O salvare la democrazia o salvare il Paese, la gente, la povera gente. O la democrazia o il bene sociale. E scelse il bene sociale. Ma la sua fede nella democrazia era tale, che ritenne di pagare il tradimento con le sue dimissioni, dando così la sua reputazione in pasto ad una base inferocita.
2) l'altro momento di divaricazione e contrasto irriducibile, di scontro frontale tra la democrazia ed il bene della gente, si era verificato non molti anni prima, e riguardava anche in questo caso il problema della SCALA MOBILE. Pierre Carniti aveva impegnato la CISL nella storica firma del PATTO DI S.VALENTINO, che comportava un esperimento di predeterminazione degli scatti di contingenza. La CGIL era prevalentemente contraria a questo accordo, ed il popolo che essa rappresentava era inferocito su questo punto fermo, un po' per paura, ed un po' perché sobillato da alcuni vertici sindacali e politici (soprattutto, da un pessimo Enrico Berlinguer). Quando Luciano Lama propose a Carniti un referendum fra tutti i lavoratori dipendenti, per fare quello che gli stessi lavoratori avrebbero deciso riguardo alla firma dell'accordo, il segretario della CISL rispose sprezzante:”Questa è demagogia di marca comunista,
dove s’è mai visto che un lavoratore approvi una decurtazione del proprio salario?”. E Pierre Carniti era sempre stato un democratico esemplare...
Le drammatiche vicende ricordate pongono i seguenti quesiti: 1) due atleti della democrazia come Bruno Trentin e Pierre Carniti, allorché tradirono il proprio ideale, ebbero un disagio di coscienza? E come giustificarono a se stessi la necessità di questo tradimento? Sul primo punto nessuno può rispondere se non chi abbia avuto un rapporto di confidenza con i due grandi leaders in questione; quanto al secondo interrogativo, basta rammentare che stiamo trattando non di pensatori teoretici, ma di uomini d'azione, troppo impegnati nella prassi per poter tentare costruzioni ideologiche: avranno certamente soffocato nell'attività, la contraddizione di cui erano stati protagonisti. 2) LA GENTE COMUNE, come si rappresentò questa contraddizione, necessaria ed evidente, tra IL BENE e LA DEMOCRAZIA? Risponderemo che la pubblica opinione rimosse il problema, lo rimosse molto presto, perché i tempi non erano maturi per riconoscere che la democrazia può incontrare i propri limiti, può NON ESSERE OPPORTUNA, NON SEMPRE E' AUSPICABILE.
(Continua)
La democrazia, dal primo dopoguerra in avanti, è stata vissuta in Italia e nell'Europa occidentale come istanza imprescindibile. I popoli erano reduci da dittature soffocanti e spietate, sicché l'antitesi o antidoto naturale all'oppressione, veniva percepito non come medicina né come ritrovato ingegnoso e benefico dell'inventiva umana, ma come faccia dell'assoluto: un profilo del VERO, DEL GIUSTO, DEL BENE. La democrazia aveva preso il posto di ideologie precedenti, divenendo essa stessa una ideologia, ovvero una verità parziale che si arroga la pretesa di essere TOTALE. Di essere il vero ed il bene nella sfera delle decisioni politiche, l'UNICO BENE POSSIBILE.
Vi furono, nella storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, alcuni momenti critici, situazioni topiche in cui la democrazia ed il bene sociale si scollarono e si contrapposero fra loro con drammatica evidenza. Qui ed ora io rammento due di queste vicende di contrasto, verificatesi entrambe nella storia del sindacalismo nazionale, ai massimi livelli: 1) Bruno Trentin si dimise dalla carica di segretario nazionale della CGIL subito dopo aver firmato assieme a CISL e UIL un accordo concernente la politica dei redditi; questo accordo sanciva la fine della SCALA MOBILE. Trentin non aveva alcun mandato “democratico” per quella firma, ed anzi la base della sua organizzazione sindacale era nettamente, fortemente, fieramente contraria a quella decisione. Trentin si trovò ad un bivio. O salvare la democrazia o salvare il Paese, la gente, la povera gente. O la democrazia o il bene sociale. E scelse il bene sociale. Ma la sua fede nella democrazia era tale, che ritenne di pagare il tradimento con le sue dimissioni, dando così la sua reputazione in pasto ad una base inferocita.
2) l'altro momento di divaricazione e contrasto irriducibile, di scontro frontale tra la democrazia ed il bene della gente, si era verificato non molti anni prima, e riguardava anche in questo caso il problema della SCALA MOBILE. Pierre Carniti aveva impegnato la CISL nella storica firma del PATTO DI S.VALENTINO, che comportava un esperimento di predeterminazione degli scatti di contingenza. La CGIL era prevalentemente contraria a questo accordo, ed il popolo che essa rappresentava era inferocito su questo punto fermo, un po' per paura, ed un po' perché sobillato da alcuni vertici sindacali e politici (soprattutto, da un pessimo Enrico Berlinguer). Quando Luciano Lama propose a Carniti un referendum fra tutti i lavoratori dipendenti, per fare quello che gli stessi lavoratori avrebbero deciso riguardo alla firma dell'accordo, il segretario della CISL rispose sprezzante:”Questa è demagogia di marca comunista,
dove s’è mai visto che un lavoratore approvi una decurtazione del proprio salario?”. E Pierre Carniti era sempre stato un democratico esemplare...
Le drammatiche vicende ricordate pongono i seguenti quesiti: 1) due atleti della democrazia come Bruno Trentin e Pierre Carniti, allorché tradirono il proprio ideale, ebbero un disagio di coscienza? E come giustificarono a se stessi la necessità di questo tradimento? Sul primo punto nessuno può rispondere se non chi abbia avuto un rapporto di confidenza con i due grandi leaders in questione; quanto al secondo interrogativo, basta rammentare che stiamo trattando non di pensatori teoretici, ma di uomini d'azione, troppo impegnati nella prassi per poter tentare costruzioni ideologiche: avranno certamente soffocato nell'attività, la contraddizione di cui erano stati protagonisti. 2) LA GENTE COMUNE, come si rappresentò questa contraddizione, necessaria ed evidente, tra IL BENE e LA DEMOCRAZIA? Risponderemo che la pubblica opinione rimosse il problema, lo rimosse molto presto, perché i tempi non erano maturi per riconoscere che la democrazia può incontrare i propri limiti, può NON ESSERE OPPORTUNA, NON SEMPRE E' AUSPICABILE.
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Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
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Si è accennato più sopra alla democrazia come “istanza imprescindibile” del sentire comune, dal dopoguerra ad oggi. La democrazia è divenuta una ideologia, è stata assolutizzata ed ammantata di una sacralità che non le compete, per reagire ad un mostro storico, un mostro a tre teste che potremmo chiamare Hitler-Mussolini-Franco. Ma provate a pensare se Hitler non avesse perseguitato e sterminato gli ebrei ed altri soggetti, e se non avesse invaso altri stati; se Mussolini non fosse stato responsabile di squadracce punitive, del delitto Matteotti e di una terribile guerra perduta con disonore; se Franco non avesse trionfato in una delle più feroci guerre civili che l'umanità ricordi... se di questi tre personaggi fosse stata consegnata alla storia la parte sociale e costruttiva, e la sana autarchia economica, senza quei terrificanti contrappesi appena ricordati... rispondete in coscienza: CREDETE CHE LA DEMOCRAZIA AVREBBE ATTECCHITO COME VALORE IRRINUNCIABILE, E COME VALORE INTRINSECO?
Ma è andata così: dal dopoguerra ad oggi nessuna voce autorevole osa mettere in discussione la democrazia, pena un linciaggio morale senza alcuna difesa, ed essere sommersa dal disprezzo, dall'odio generale. Vi sono stati certamente dei soggetti politici che hanno tramato contro la democrazia, o tentato di costruire una alternativa a questo “regime”, ma lo hanno fatto senza mai prendere apertamente il toro per le corna, senza permettersi mai di affermare: NO ALLA DEMOCRAZIA, NOI NON CI CREDIAMO, NOI NON LA VOGLIAMO. L'unica voce di rilievo, apertamente anti-democratica che io ricordi, è quella di GAETANO MOSCA, ed è di pochi anni antecedente al limite storico che ci siamo dati. Sulla sua stupenda lezione avremo modo forse di ritornare.
Ma il tempo è galantuomo, e la VERITA' troppo a lungo misconosciuta, dapprima manda gemiti, poi esplosioni. Sono affiorati da poco i primi gemiti, con i quali la VERITA' ci vuole dire “quest'abito mi soffoca, mi va stretto, non ne posso più! Sono 69 anni che me lo imponete!”. La rete internet, ovvero il canale comunicativo più democratico che si sia mai visto sul nostro pianeta, quel canale che viene anche utilizzato da una grande forza politica (la stessa alla quale io faccio riferimento), per un tentativo nuovo e spettacolare di democrazia di base, questo canale, (eterna ambiguità delle cose umane!) è lo stesso che esprime i primi gemiti contro l'ideale di cui stiamo trattando. Nella galassia dei bloggers qualcuno sta cominciando ad interrogarsi sulla democrazia come valore assoluto, ed anche tout-court come valore; nei social- network la messa in discussione è operata da qualche esponente del movimento per l'uscita dall'EURO. In questo movimento, si tratta di voci minoritarie, in quanto la massa e le personalità più autorevoli non si scontrano ancora culturalmente con il Moloch-Democrazia, e questo forse è strategicamente opportuno; una punta di diamante della corrente di pensiero in questione, Francesca Donato, alla quale dedicai un altro topic rimasto incompiuto per le mie vicende ospedaliere ( https://vivaibidelli.forumattivo.com/t604-francesca-donato-e-il-movimento-cinque-stelle ) è addirittura convinta, in evidente e limpidissima buona fede, di poter coniugare assieme all'infinito NO EURO e DEMOCRAZIA. Ma i più avveduti cominciano a chiedersi se sarà davvero possibile sostenere entrambe le istanze, ovvero se la maggioranza del popolo italiano vorrà davvero uscire dall'euro. E se dovesse non volere, non osare? Che cosa sceglieremo, la fedeltà all'ideale democratico, e con essa la rovina definitiva per il popolo italiano e la condanna per i giovani a non avere lavoro [sto ripercorrendo il pensiero che anima queste voci critiche audaci], o sceglieremo piuttosto la rinascita economica e sociale dell'Italia, tradendo la democrazia? Vi è pure chi fa notare come l'uscita dall'euro dovrebbe avvenire repentinamente, dall'oggi al domani, senza CLAMORE né avvertimenti preventivi, per evitare fughe di capitali ed altre turbolenze dei mercati: dovrebbe essere una sorta di blitz! ALLA FACCIA DELLA DEMOCRAZIA, MA PER IL BENE DEL POPOLO ITALIANO!
Ma vi è addirittura chi ha avuto più coraggio, rispetto a queste prime voci o sussurri che mettono in discussione l'ideale democratico. Si tratta di alcuni teorici del movimento per la “DECRESCITA”. Questi hanno usato la carta stampata (massima audacia, perché “scripta manent”) per chiedersi, e per chiedere ai loro lettori: se l'umanità attuale volesse continuare ad inquinare il pianeta, a produrre entropia, a produrre rifiuti non assimilabili dall'habitat naturale né riconvertibili; se la maggioranza degli uomini volesse proseguire in una CRESCITA ECONOMICA suicida, che significa la fine della vita sulla Terra e la negazione del diritto alla vita per i nostri discendenti... che fare? SALVARE LA DEMOCRAZIA O SALVARE IL GENERE UMANO E LA VITA, SALVARE LE GENERAZIONI FUTURE?
(Continua)
Si è accennato più sopra alla democrazia come “istanza imprescindibile” del sentire comune, dal dopoguerra ad oggi. La democrazia è divenuta una ideologia, è stata assolutizzata ed ammantata di una sacralità che non le compete, per reagire ad un mostro storico, un mostro a tre teste che potremmo chiamare Hitler-Mussolini-Franco. Ma provate a pensare se Hitler non avesse perseguitato e sterminato gli ebrei ed altri soggetti, e se non avesse invaso altri stati; se Mussolini non fosse stato responsabile di squadracce punitive, del delitto Matteotti e di una terribile guerra perduta con disonore; se Franco non avesse trionfato in una delle più feroci guerre civili che l'umanità ricordi... se di questi tre personaggi fosse stata consegnata alla storia la parte sociale e costruttiva, e la sana autarchia economica, senza quei terrificanti contrappesi appena ricordati... rispondete in coscienza: CREDETE CHE LA DEMOCRAZIA AVREBBE ATTECCHITO COME VALORE IRRINUNCIABILE, E COME VALORE INTRINSECO?
Ma è andata così: dal dopoguerra ad oggi nessuna voce autorevole osa mettere in discussione la democrazia, pena un linciaggio morale senza alcuna difesa, ed essere sommersa dal disprezzo, dall'odio generale. Vi sono stati certamente dei soggetti politici che hanno tramato contro la democrazia, o tentato di costruire una alternativa a questo “regime”, ma lo hanno fatto senza mai prendere apertamente il toro per le corna, senza permettersi mai di affermare: NO ALLA DEMOCRAZIA, NOI NON CI CREDIAMO, NOI NON LA VOGLIAMO. L'unica voce di rilievo, apertamente anti-democratica che io ricordi, è quella di GAETANO MOSCA, ed è di pochi anni antecedente al limite storico che ci siamo dati. Sulla sua stupenda lezione avremo modo forse di ritornare.
Ma il tempo è galantuomo, e la VERITA' troppo a lungo misconosciuta, dapprima manda gemiti, poi esplosioni. Sono affiorati da poco i primi gemiti, con i quali la VERITA' ci vuole dire “quest'abito mi soffoca, mi va stretto, non ne posso più! Sono 69 anni che me lo imponete!”. La rete internet, ovvero il canale comunicativo più democratico che si sia mai visto sul nostro pianeta, quel canale che viene anche utilizzato da una grande forza politica (la stessa alla quale io faccio riferimento), per un tentativo nuovo e spettacolare di democrazia di base, questo canale, (eterna ambiguità delle cose umane!) è lo stesso che esprime i primi gemiti contro l'ideale di cui stiamo trattando. Nella galassia dei bloggers qualcuno sta cominciando ad interrogarsi sulla democrazia come valore assoluto, ed anche tout-court come valore; nei social- network la messa in discussione è operata da qualche esponente del movimento per l'uscita dall'EURO. In questo movimento, si tratta di voci minoritarie, in quanto la massa e le personalità più autorevoli non si scontrano ancora culturalmente con il Moloch-Democrazia, e questo forse è strategicamente opportuno; una punta di diamante della corrente di pensiero in questione, Francesca Donato, alla quale dedicai un altro topic rimasto incompiuto per le mie vicende ospedaliere ( https://vivaibidelli.forumattivo.com/t604-francesca-donato-e-il-movimento-cinque-stelle ) è addirittura convinta, in evidente e limpidissima buona fede, di poter coniugare assieme all'infinito NO EURO e DEMOCRAZIA. Ma i più avveduti cominciano a chiedersi se sarà davvero possibile sostenere entrambe le istanze, ovvero se la maggioranza del popolo italiano vorrà davvero uscire dall'euro. E se dovesse non volere, non osare? Che cosa sceglieremo, la fedeltà all'ideale democratico, e con essa la rovina definitiva per il popolo italiano e la condanna per i giovani a non avere lavoro [sto ripercorrendo il pensiero che anima queste voci critiche audaci], o sceglieremo piuttosto la rinascita economica e sociale dell'Italia, tradendo la democrazia? Vi è pure chi fa notare come l'uscita dall'euro dovrebbe avvenire repentinamente, dall'oggi al domani, senza CLAMORE né avvertimenti preventivi, per evitare fughe di capitali ed altre turbolenze dei mercati: dovrebbe essere una sorta di blitz! ALLA FACCIA DELLA DEMOCRAZIA, MA PER IL BENE DEL POPOLO ITALIANO!
Ma vi è addirittura chi ha avuto più coraggio, rispetto a queste prime voci o sussurri che mettono in discussione l'ideale democratico. Si tratta di alcuni teorici del movimento per la “DECRESCITA”. Questi hanno usato la carta stampata (massima audacia, perché “scripta manent”) per chiedersi, e per chiedere ai loro lettori: se l'umanità attuale volesse continuare ad inquinare il pianeta, a produrre entropia, a produrre rifiuti non assimilabili dall'habitat naturale né riconvertibili; se la maggioranza degli uomini volesse proseguire in una CRESCITA ECONOMICA suicida, che significa la fine della vita sulla Terra e la negazione del diritto alla vita per i nostri discendenti... che fare? SALVARE LA DEMOCRAZIA O SALVARE IL GENERE UMANO E LA VITA, SALVARE LE GENERAZIONI FUTURE?
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Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
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In questo post non intendo discutere la democrazia come ideale, quale è stata definita dai maestri del pensiero politico, e nemmeno quale viene pensata e sentita dai giovani di oggi, da quelli di ieri, e dagli “eterni ragazzi”. D'altra parte tutti gli ideali sono belli: lo è pure l'ideologia liberale, il socialismo marxista, il socialismo umanitario, quello cristiano...
Per rigettare il marxismo, a livello di mentalità collettiva, è stato sufficiente il triste spettacolo ed il dramma delle sue incarnazioni storiche; la democrazia ha una vita più lunga, perché è meno foriera di violenze e perché non si vedono alternative migliori. Ma la realizzazione storica dell'ideale democratico è stata disgustosa. Per quanto si è visto, si è palpitato, si è combattuto, una amara conclusione si impone: LA DEMOCRAZIA E' UNA FORMA DI IPOCRISIA. Penso che a nessuno dei sostenitori idealisti dell'ideale di cui trattiamo, faccia piacere ridurre il loro sogno ad una semplice e formale conta dei voti, senza curarsi se le volontà che esprimono i suffragi siano volontà libere. E qui sta il limite della democrazia, che già fu segnalato dall'acutissimo Gaetano Mosca, il quale lo riferiva alla propria epoca: già allora, prima dell'avvento dei media e della “civiltà dell'immagine”, Mosca seppe rilevare tutti i condizionamenti politici che snaturavano la volontà popolare, che è il fondamento presunto del regime democratico; se Mosca avesse visto lo scempio attuale, la manipolazione delle coscienze che avviene oggi attraverso i media, e l'opera di disinformazione che si compie tramite gli stessi, e tramite la carta stampata, fino alla creazione e al consolidamento di un pensiero unico dominante... se Mosca avesse visto tutto ciò, si sarebbe giustamente considerato un profeta, e si sarebbe incazzato che oggi non ci sia nemmeno una minoranza che veneri la sua memoria, e nessuno che voglia per lui dei monumenti nelle piazze italiane.
LA DEMOCRAZIA E' UNA FORMA DI IPOCRISIA, dicevo. E qui irrompono le mie confidenze personali. Ragazzi, io da giovane ci avevo creduto, e cercavo di incarnarla con tutte le mie forze. Volendo fare del sindacalismo scelsi la CISL, che a quell'epoca era la più democratica tra le grandi organizzazioni italiane, sindacali o politiche (basti ricordare quando in alcuni direttivi provinciali entrarono in massa gli attivisti di “DEMOCRAZIA PROLETARIA” e conquistarono la maggioranza in quei consigli: riuscirono a far passare tutte le delibere da loro volute, purché queste non fossero in contrasto con lo statuto del sindacato, alla faccia della maggioranza democristiana che prevaleva nel rimanente territorio italiano, nel corpo della stessa organizzazione).
Scelsi la CISL, dicevo, e rimasi colpito nel vedere come i sindacalisti che si reputavano ed erano universalmente ritenuti dei campioni di democrazia, gestivano le assemblee. Essi, a differenza dell'ingenuo novellino Davide Selis, non si mettevano umilmente in ascolto della base, perché la volontà di questa emergesse e si affermasse, non tentavano affatto di praticare una maieutica della coscienza popolare... ma entravano nelle assemblee per dirigere i lavori, chiedendosi interiormente: “COME FACCIO AD INGABBIARLI? A FAR VOTARE LORO LE DELIBERE CHE NOI-DIRIGENZA VOGLIAMO?”. Vidi che nella populistica CGIL il comportamento dei capi era lo stesso... ed un po' alla volta capii il gioco: in una grande organizzazione “democratica”, è democratica solo la messa ai voti delle decisioni; non lo è minimamente la GENESI DELLE MEDESIME. Questa, è sempre il prodotto di un abile conduttore. Presto compresi come una assemblea poteva dare esiti decisionali diversissimi a seconda di chi la dirigeva, delle sollecitazioni che questi sapeva inventare, del carisma da leader che possedeva, della sua abilità dialettica e retorica, delle “leve psicologiche” che sapeva muovere. Quello che in una riunione sindacale avviene attraverso il contatto diretto con un leader, si verifica più indirettamente anche in un comizio politico, o in un dibattito televisivo. Il popolo è bue, questo hanno sempre saputo i capi politici e sindacali che si ammantano di democraticità. La democrazia è una ipocrisia, fino ad oggi è esistita solo a livello formale. Ed io avevo creduto che si trattasse non solo di decisioni prese a maggioranza, in libere votazioni, ma anche di espressione della volontà del popolo nella determinazione delle scelte politiche...
I capi politici e sindacali scafati, siano grandi, medi o piccoli, si ammantano di democrazia, “la volontà del popolo (o della base)” è la loro parola d'ordine, ma sotto sotto ritengono che il popolo non sia adulto, sia un bambino che non può crescere e vada guidato. Posso essere del tutto sincero con chi mi legge? Questa concezione è divenuta anche la mia, da molti anni io mi sono convinto che il popolo lasciato a se stesso sia una massa distruttiva ed autodistruttiva, e che se affidassimo veramente le decisioni alla “base”, senza condizionarla, in poco tempo ci ridurremmo al cannibalismo per le strade delle città...
(Continua)
In questo post non intendo discutere la democrazia come ideale, quale è stata definita dai maestri del pensiero politico, e nemmeno quale viene pensata e sentita dai giovani di oggi, da quelli di ieri, e dagli “eterni ragazzi”. D'altra parte tutti gli ideali sono belli: lo è pure l'ideologia liberale, il socialismo marxista, il socialismo umanitario, quello cristiano...
Per rigettare il marxismo, a livello di mentalità collettiva, è stato sufficiente il triste spettacolo ed il dramma delle sue incarnazioni storiche; la democrazia ha una vita più lunga, perché è meno foriera di violenze e perché non si vedono alternative migliori. Ma la realizzazione storica dell'ideale democratico è stata disgustosa. Per quanto si è visto, si è palpitato, si è combattuto, una amara conclusione si impone: LA DEMOCRAZIA E' UNA FORMA DI IPOCRISIA. Penso che a nessuno dei sostenitori idealisti dell'ideale di cui trattiamo, faccia piacere ridurre il loro sogno ad una semplice e formale conta dei voti, senza curarsi se le volontà che esprimono i suffragi siano volontà libere. E qui sta il limite della democrazia, che già fu segnalato dall'acutissimo Gaetano Mosca, il quale lo riferiva alla propria epoca: già allora, prima dell'avvento dei media e della “civiltà dell'immagine”, Mosca seppe rilevare tutti i condizionamenti politici che snaturavano la volontà popolare, che è il fondamento presunto del regime democratico; se Mosca avesse visto lo scempio attuale, la manipolazione delle coscienze che avviene oggi attraverso i media, e l'opera di disinformazione che si compie tramite gli stessi, e tramite la carta stampata, fino alla creazione e al consolidamento di un pensiero unico dominante... se Mosca avesse visto tutto ciò, si sarebbe giustamente considerato un profeta, e si sarebbe incazzato che oggi non ci sia nemmeno una minoranza che veneri la sua memoria, e nessuno che voglia per lui dei monumenti nelle piazze italiane.
LA DEMOCRAZIA E' UNA FORMA DI IPOCRISIA, dicevo. E qui irrompono le mie confidenze personali. Ragazzi, io da giovane ci avevo creduto, e cercavo di incarnarla con tutte le mie forze. Volendo fare del sindacalismo scelsi la CISL, che a quell'epoca era la più democratica tra le grandi organizzazioni italiane, sindacali o politiche (basti ricordare quando in alcuni direttivi provinciali entrarono in massa gli attivisti di “DEMOCRAZIA PROLETARIA” e conquistarono la maggioranza in quei consigli: riuscirono a far passare tutte le delibere da loro volute, purché queste non fossero in contrasto con lo statuto del sindacato, alla faccia della maggioranza democristiana che prevaleva nel rimanente territorio italiano, nel corpo della stessa organizzazione).
Scelsi la CISL, dicevo, e rimasi colpito nel vedere come i sindacalisti che si reputavano ed erano universalmente ritenuti dei campioni di democrazia, gestivano le assemblee. Essi, a differenza dell'ingenuo novellino Davide Selis, non si mettevano umilmente in ascolto della base, perché la volontà di questa emergesse e si affermasse, non tentavano affatto di praticare una maieutica della coscienza popolare... ma entravano nelle assemblee per dirigere i lavori, chiedendosi interiormente: “COME FACCIO AD INGABBIARLI? A FAR VOTARE LORO LE DELIBERE CHE NOI-DIRIGENZA VOGLIAMO?”. Vidi che nella populistica CGIL il comportamento dei capi era lo stesso... ed un po' alla volta capii il gioco: in una grande organizzazione “democratica”, è democratica solo la messa ai voti delle decisioni; non lo è minimamente la GENESI DELLE MEDESIME. Questa, è sempre il prodotto di un abile conduttore. Presto compresi come una assemblea poteva dare esiti decisionali diversissimi a seconda di chi la dirigeva, delle sollecitazioni che questi sapeva inventare, del carisma da leader che possedeva, della sua abilità dialettica e retorica, delle “leve psicologiche” che sapeva muovere. Quello che in una riunione sindacale avviene attraverso il contatto diretto con un leader, si verifica più indirettamente anche in un comizio politico, o in un dibattito televisivo. Il popolo è bue, questo hanno sempre saputo i capi politici e sindacali che si ammantano di democraticità. La democrazia è una ipocrisia, fino ad oggi è esistita solo a livello formale. Ed io avevo creduto che si trattasse non solo di decisioni prese a maggioranza, in libere votazioni, ma anche di espressione della volontà del popolo nella determinazione delle scelte politiche...
I capi politici e sindacali scafati, siano grandi, medi o piccoli, si ammantano di democrazia, “la volontà del popolo (o della base)” è la loro parola d'ordine, ma sotto sotto ritengono che il popolo non sia adulto, sia un bambino che non può crescere e vada guidato. Posso essere del tutto sincero con chi mi legge? Questa concezione è divenuta anche la mia, da molti anni io mi sono convinto che il popolo lasciato a se stesso sia una massa distruttiva ed autodistruttiva, e che se affidassimo veramente le decisioni alla “base”, senza condizionarla, in poco tempo ci ridurremmo al cannibalismo per le strade delle città...
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Qualcuno che si prende la briga di seguirmi, e qualcun altro dotato di ottima memoria, potrebbero a questo punto rinfacciarmi la mia vicinanza al Movimento5stelle, testimoniata in queste ed altre pagine telematiche: su twitter ho più volte difeso a spada tratta il movimento in questione, divenendone di fatto un attivista, pur senza esservi iscritto. Ma proprio la mia mancata sottoscrizione ad un impegno di adesione la dice lunga circa il mio rapporto con i pentastellari e con la loro rivoluzionaria idea-idealità di una democrazia di base, una democrazia a portata di tutti, a portata di click. Io considero i 5stelle un formidabile anticorpo, da utilizzare esaltandone gli effetti al massimo grado, laddove la classe politica è degenerata, rispetto alla sua missione naturale di servizio reso al popolo. Sono convinto, con il grande Gaetano Mosca, che una vera e propria classe dei politici o “casta” sia un cardine sociale inevitabile, in qualunque organizzazione socio-politica; ma credo altresì che la “casta” italiana attuale non stia facendo gli interessi dell'altra classe, cioè di noi governati. La “casta”, lungi dall'essere una dirigenza illuminata è divenuta un cancro per la società italiana. Urge una cura, e l'anticorpo è sorto spontaneamente, per l'inventiva di due spiriti liberi ed illuminati e per una sana reazione popolare. Ed è bello, entusiasmante, questo vento nuovo che spazza via tante ipocrisie, cattive abitudini e malefatte; è bello questo senso di rinnovamento, di giovinezza, di freschezza; è buono questo profumo di onestà, di solidarietà, di verità, e della condivisone di questi valori in un collettivo sempre più grande. E' tanto bello, buono ed inebriante tutto questo, ma... non può durare all'infinito. Lasciamo che la cura faccia il suo effetto e poi torniamo ad un parlamentarismo sano, se la rivoluzione in atto, rivoluzione che appoggiamo, non avrà distrutto per sempre ogni possibilità di regime parlamentare. Io sono salito sul carro dei 5stelle rinnegando me stesso, perché era il grande rischio da correre in quest'epoca, era l'unica cosa da fare; tenterò, se sarà ancora possibile, di scendere dal carro e di fare scendere altri al momento opportuno. Il mio credo è nello spirito, nel programma della “pagina delle contraddizioni” di questo forum: il bene ed il male si alternano, non solo nello spazio (e all'interno di uno stesso ente) ma pure nel tempo (e all'interno di uno stesso ente). Attualmente il bene è in Beppe Grillo e nei suoi prodi; non sarà sempre così...
Per inciso: nella mia prospettiva critica io vedo una contraddizione del movimento che i suoi militanti non intravedono neppure: essi difendono a spada tratta la nostra Costituzione dai tentativi attuali di stravolgimento, ma sono loro stessi i principali nemici della nostra Costituzione. Tutto i Padri Costituenti avrebbero voluto, fuorché una democrazia di base tramite click. Sarebbero inorriditi se uno scrittore di fantascienza avesse prefigurato loro quello che sta avvenendo, perché essi ebbero vivissimo il senso della necessità di decantare le passioni popolari, per legiferare. E crearono delle “camere di decantazione” che facessero prevalere la ragione sull'istinto, sul sentimento, sulla pancia...Affidandoci alla rivoluzione in atto corriamo un rischio mortale, il rischio della barbarie e di chissà quale svolta autoritaria o dittatoriale futura, ma...il rischio è da correre: per ora, il bene abita nei 5stelle. Ho dovuto tapparmi il naso, turami le orecchie e chiudere gli occhi per accettare la democrazia “made in Casaleggio”, e fare appello a tutto il mio coraggio. Ma ormai è fatta. Non c'è attualmente una strada migliore...
(Continua)
Qualcuno che si prende la briga di seguirmi, e qualcun altro dotato di ottima memoria, potrebbero a questo punto rinfacciarmi la mia vicinanza al Movimento5stelle, testimoniata in queste ed altre pagine telematiche: su twitter ho più volte difeso a spada tratta il movimento in questione, divenendone di fatto un attivista, pur senza esservi iscritto. Ma proprio la mia mancata sottoscrizione ad un impegno di adesione la dice lunga circa il mio rapporto con i pentastellari e con la loro rivoluzionaria idea-idealità di una democrazia di base, una democrazia a portata di tutti, a portata di click. Io considero i 5stelle un formidabile anticorpo, da utilizzare esaltandone gli effetti al massimo grado, laddove la classe politica è degenerata, rispetto alla sua missione naturale di servizio reso al popolo. Sono convinto, con il grande Gaetano Mosca, che una vera e propria classe dei politici o “casta” sia un cardine sociale inevitabile, in qualunque organizzazione socio-politica; ma credo altresì che la “casta” italiana attuale non stia facendo gli interessi dell'altra classe, cioè di noi governati. La “casta”, lungi dall'essere una dirigenza illuminata è divenuta un cancro per la società italiana. Urge una cura, e l'anticorpo è sorto spontaneamente, per l'inventiva di due spiriti liberi ed illuminati e per una sana reazione popolare. Ed è bello, entusiasmante, questo vento nuovo che spazza via tante ipocrisie, cattive abitudini e malefatte; è bello questo senso di rinnovamento, di giovinezza, di freschezza; è buono questo profumo di onestà, di solidarietà, di verità, e della condivisone di questi valori in un collettivo sempre più grande. E' tanto bello, buono ed inebriante tutto questo, ma... non può durare all'infinito. Lasciamo che la cura faccia il suo effetto e poi torniamo ad un parlamentarismo sano, se la rivoluzione in atto, rivoluzione che appoggiamo, non avrà distrutto per sempre ogni possibilità di regime parlamentare. Io sono salito sul carro dei 5stelle rinnegando me stesso, perché era il grande rischio da correre in quest'epoca, era l'unica cosa da fare; tenterò, se sarà ancora possibile, di scendere dal carro e di fare scendere altri al momento opportuno. Il mio credo è nello spirito, nel programma della “pagina delle contraddizioni” di questo forum: il bene ed il male si alternano, non solo nello spazio (e all'interno di uno stesso ente) ma pure nel tempo (e all'interno di uno stesso ente). Attualmente il bene è in Beppe Grillo e nei suoi prodi; non sarà sempre così...
Per inciso: nella mia prospettiva critica io vedo una contraddizione del movimento che i suoi militanti non intravedono neppure: essi difendono a spada tratta la nostra Costituzione dai tentativi attuali di stravolgimento, ma sono loro stessi i principali nemici della nostra Costituzione. Tutto i Padri Costituenti avrebbero voluto, fuorché una democrazia di base tramite click. Sarebbero inorriditi se uno scrittore di fantascienza avesse prefigurato loro quello che sta avvenendo, perché essi ebbero vivissimo il senso della necessità di decantare le passioni popolari, per legiferare. E crearono delle “camere di decantazione” che facessero prevalere la ragione sull'istinto, sul sentimento, sulla pancia...Affidandoci alla rivoluzione in atto corriamo un rischio mortale, il rischio della barbarie e di chissà quale svolta autoritaria o dittatoriale futura, ma...il rischio è da correre: per ora, il bene abita nei 5stelle. Ho dovuto tapparmi il naso, turami le orecchie e chiudere gli occhi per accettare la democrazia “made in Casaleggio”, e fare appello a tutto il mio coraggio. Ma ormai è fatta. Non c'è attualmente una strada migliore...
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Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
In questo lungo resoconto di una crisi ideologica si è fatto riferimento più volte al pensiero di Gaetano Mosca. Sul piano morale, urge una mia confessione spudorata: io le opere di Mosca non le ho mai lette. La conoscenza che ho di questo illuminante pensatore, è mutuata da antiche lezioni universitarie e dispense, nonché da letture antologiche e ricerche in internet. I prossimi due post di questo lungo topic saranno comunque dedicati ad una rassegna di spunti di pensiero di Lui e su di Lui, pescati nel web. Chi è meno ignorante di me ma mantiene interesse per questo mio elaborato autobiografico e confidenziale, è invitato pertanto a non perdere tempo e a scavalcare questo resoconto e quello successivo. La pubblicazione dei motivi che seguono ha più di una funzione: chiarire compiutamente il senso del presente topic, diffondere la lezione di un grande maestro dimenticato o ignorato, sollecitare i lettori a conoscerne il pensiero tramite la lettura diretta delle opere, e rinforzare in me stesso l'identico stimolo. Ho in animo infatti di tuffarmi al più presto nella appassionante lettura del Mosca, sento un ardore giovanile che mi sospinge, ma alla mia età sono troppe le cose da fare, che richiamano una priorità, rispetto alle energie disponibili ed al poco tempo che resta davanti a sè per la vita attiva.
Siete pronti?
“GAETANO MOSCA (1858-1941)
Nel clima che abbiamo appena sopra descritto, appare, nel 1884, la prima opera di Gaetano Mosca, Sulla teoria dei governi e sul governo parlamentare, nel quale viene delineata l’idea centrale degli elitisti cioè che inevitabilmente “una minoranza organizzata, la quale agisce sempre coordinatamente, trionfa sempre sopra una maggioranza disorganizzata”.
Mosca definisce tale minoranza organizzata come “classe politica” e le varie forme di governo non rappresentano altro che i principi in base ai quali coloro che detengono il potere lo legittimano e lo esercitano: tali principi sono chiamati “formula politica”. Chi è al potere, infatti, non ammetterà mai di esercitarlo in quanto classe più adatta a governare ma tradurrà sempre la giustificazione del suo potere in una formula astratta.
La democrazia, secondo Mosca, in realtà è un’illusione perché non è possibile concepire, nei fatti, il governo di tutti: anche nella democrazia, dunque, ci sarà una minoranza numerica che esplicherà effettivamente l’azione di governo. Lo stesso discorso vale per la monarchia perché anche il monarca ha bisogno di collaboratori e di un apparato di funzionari, di un’organizzazione efficiente, dunque, di una minoranza organizzata.
Secondo Mosca, anche se tale principio è inevitabile - nel senso che si verifica in ogni forma di governo – non è possibile però porre sullo stesso piano tutte le forme di governo, anzi, egli va alla ricerca della forma migliore dimostrando di non nutrire una sfiducia completa nei confronti del potere politico .
Egli è critico nei confronti del sistema elettorale italiano tanto da giungere ad affermare che non sono gli elettori ad eleggere il proprio rappresentante ma è il deputato che si fa eleggere dagli elettori. In particolare, per quanto riguarda la formazione della “classe politica”, egli ne traccia una storia, affermando che da sempre il potere è esercitato da una “classe speciale” così definita in base ai valori prevalenti in quella società. In un periodo primitivo è la forza fisica ad essere apprezzata, quindi la classe politica è composta da militari; i periodi di pace comporteranno anche sviluppo economico e quindi ricchezza ed il potere passerà ai ricchi; man mano che si svilupperà anche l’elemento intellettuale, la scienza si applicherà alla politica, dunque, il sapere, il merito personale, la virtù, il talento diverranno gli elementi che selezioneranno la minoranza di governo.
Mosca prevede anche un’involuzione, nel senso che per certi periodi può imporsi nuovamente il potere militare su quello economico ed intellettuale: tale fenomeno è il “cesarismo” e Mosca lo condanna in quanto ritiene che non possa durare a lungo nel tempo perché, alla lunga, la superiorità morale ed intellettuale prevale sempre sulla forza bruta e sulla superiorità della massa.
La classe politica non è sempre reclutata dalle stesse categorie sociali (in questo egli anticipa la “teoria della circolazione delle elite” di Pareto) nel senso che gradatamente, chi detiene il potere perde le attitudini al comando mentre queste attitudini possono essere acquisite da altri che il potere non detengono ancora formalmente e sono dunque destinati, in quanto migliori, a conquistarlo”.
"Egli sostiene che esiste una sola forma di governo e di classe politica, cioè, l'oligarchia. Mosca fa tale affermazione perché sostiene che in ogni società vi sono due classi di persone: i governanti (che sono le élite che hanno il potere politico) ed i governati (il resto della società). Secondo Mosca l'élite al potere è organizzata in modo tale da mantenere a lungo la propria posizione e tutelare i propri interessi, anche utilizzando i mezzi pubblici a sua disposizione.
Per questi motivi egli ritiene che la democrazia, il parlamentarismo, il socialismo siano solo delle utopie, delle teorie politiche per legittimare e mantenere un potere che è sempre in mano a pochi uomini. Infine, egli sostiene che vi è una riproduzione del potere per via democratica quando l'oligarchia permette, ai membri di qualsiasi classe sociale, l'ingresso al suo interno; vi è una riproduzione del potere per via aristocratica quando il ricambio avviene sempre all'interno della élite. Questo ricambio dipende anche dalla situazione dello stato in quel preciso momento: infatti in una condizione di guerra, l'accesso alla classe politica sarà facilitato a generali, comandanti etc.” (Wikipedia)
“Mosca si occupò esclusivamente delle élite politiche, anche se non ricorse al termine élite ma al termine classe politica: il ruolo di conduzione della società è, infatti, eminentemente politico.
Nel suo pensiero, ci sono due casi ricorrenti della vita politica i quali sono solo fenomeni apparenti:
vi è un uomo solo al comando,
l’élite si fa scalzare dalla massa mossa dal malcontento.
Nel primo caso l’autocrazia si basa su una classe politica, chi è a capo del governo non può muovere contro la classe politica: principio dell’organizzazione. Nel secondo caso, la massa, nonostante creda di poter scalzare definitivamente un’élite, emanerà di nuovo una ristretta classe politica, perché senza classe politica non si governa.
Dice Mosca: "È vero, come ci ha insegnato Karl Marx che la storia dell’umanità è una storia di lotta, ma non si tratta di lotta economica, bensì di lotta politica. È lotta tra una minoranza che vuole continuare ad essere classe politica e un’altra minoranza che aspira a diventarlo.
Ma per Mosca questa lotta non avviene tra più gruppi diversi per pensiero o per censo, ma tra due tipologie così individuabili[3]:
- quella che detiene il potere che Mosca chiama "materiale" (ovvero la "classe burocratica", che detiene il potere coercitivo);
- quella che detiene il potere "intellettuale".
Chi detiene il potere "intellettuale" aspirerebbe ad ottenere quello "materiale".
A sua volta, chi detiene il potere "materiale" necessita giustificarlo "mercé il sussidio di qualcuna almeno delle forze intellettuali o morali", e quindi mediante compromessi e concessioni al gruppo "intellettuale".[3]
L'insieme di questi due gruppi viene da lui definita come "classe politica"".
"La teoria delle classi politiche[modifica | modifica sorgente]
Secondo Mosca, in ogni sistema politico è possibile individuare:
- Una "classe politica". Mosca la definisce come "l'insieme delle gerarchie che materialmente e moralmente dirigono una società".[4]
- Una "formula politica". Mosca la definisce come "la dottrina o le credenze che danno una base morale al potere dei dirigenti".[4]
La regola fondamentale proposta dalla "Teoria della classi politiche" di Mosca è che alla modifica della "formula politica" consegue una modifica dell'organizzazione della classe politica.[4]
In altre parole, qualunque sistema politico si basa su di un consenso di fondo. Quando questo decade, ne consegue prima di tutto una modifica della "formula politica", atta ad un nuovo consenso. Parallelamente, avverranno adeguamenti sia nella composizione dei gruppi intellettuali e burocratici che formano la classe politica, sia nella sua forma organizzativa.
Da questa regola consegue anche una conseguenza storicista. Dice Mosca "È impossibile studiare la storia delle dottrine politiche senza studiare contemporaneamente quella delle istituzioni politiche"”
“Già nell'opera giovanile Teorica dei governi e governo parlamentare (1884; 2a ed. 1925, ristampa nella raccolta postuma Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica, 1958) è formulata la sua teoria della "classe politica". Esclusa l'esistenza di un sistema basato sul potere di una sola persona e della maggioranza del popolo, M. affermava che tutte le funzioni pubbliche sono sempre esercitate da una classe speciale di persone. Ogni classe politica, al fine di legittimare il proprio potere, si serve poi di un principio astratto pretendendo di ripetere la propria autorità da un sovrano, il quale poi a sua volta la riceve da Dio oppure dalla volontà popolare. Radicalmente avverso al regime parlamentare, M. ne denunciava le origini economiche: così, in Italia, i deputati per M. rappresentavano per la maggior parte la proprietà fondiaria e il capitale, e solo in minima parte le aspirazioni delle classi operaie. Contro l'individualismo liberale, M. riteneva il dogma della non ingerenza dello stato nei problemi economici e sociali assurdo e contraddittorio, giacché l'accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi trova garanzia e salvaguardia proprio nel sistema politico generale. Occorre, invece, un intervento attivo del potere pubblico per la distribuzione più equa delle ricchezze: M. proponeva, così, una soluzione gradualistica del problema sociale, senza nascondere la sua propensione per la classe media intellettuale. Occorreva mutare tutta la classe politica sulla base del merito personale e della capacità tecnica. Già nel corso del decennio successivo la posizione di M. subì un cambiamento notevole: da critico del sistema parlamentare, egli ne divenne illustre difensore”.
(Continua)
In questo lungo resoconto di una crisi ideologica si è fatto riferimento più volte al pensiero di Gaetano Mosca. Sul piano morale, urge una mia confessione spudorata: io le opere di Mosca non le ho mai lette. La conoscenza che ho di questo illuminante pensatore, è mutuata da antiche lezioni universitarie e dispense, nonché da letture antologiche e ricerche in internet. I prossimi due post di questo lungo topic saranno comunque dedicati ad una rassegna di spunti di pensiero di Lui e su di Lui, pescati nel web. Chi è meno ignorante di me ma mantiene interesse per questo mio elaborato autobiografico e confidenziale, è invitato pertanto a non perdere tempo e a scavalcare questo resoconto e quello successivo. La pubblicazione dei motivi che seguono ha più di una funzione: chiarire compiutamente il senso del presente topic, diffondere la lezione di un grande maestro dimenticato o ignorato, sollecitare i lettori a conoscerne il pensiero tramite la lettura diretta delle opere, e rinforzare in me stesso l'identico stimolo. Ho in animo infatti di tuffarmi al più presto nella appassionante lettura del Mosca, sento un ardore giovanile che mi sospinge, ma alla mia età sono troppe le cose da fare, che richiamano una priorità, rispetto alle energie disponibili ed al poco tempo che resta davanti a sè per la vita attiva.
Siete pronti?
“GAETANO MOSCA (1858-1941)
Nel clima che abbiamo appena sopra descritto, appare, nel 1884, la prima opera di Gaetano Mosca, Sulla teoria dei governi e sul governo parlamentare, nel quale viene delineata l’idea centrale degli elitisti cioè che inevitabilmente “una minoranza organizzata, la quale agisce sempre coordinatamente, trionfa sempre sopra una maggioranza disorganizzata”.
Mosca definisce tale minoranza organizzata come “classe politica” e le varie forme di governo non rappresentano altro che i principi in base ai quali coloro che detengono il potere lo legittimano e lo esercitano: tali principi sono chiamati “formula politica”. Chi è al potere, infatti, non ammetterà mai di esercitarlo in quanto classe più adatta a governare ma tradurrà sempre la giustificazione del suo potere in una formula astratta.
La democrazia, secondo Mosca, in realtà è un’illusione perché non è possibile concepire, nei fatti, il governo di tutti: anche nella democrazia, dunque, ci sarà una minoranza numerica che esplicherà effettivamente l’azione di governo. Lo stesso discorso vale per la monarchia perché anche il monarca ha bisogno di collaboratori e di un apparato di funzionari, di un’organizzazione efficiente, dunque, di una minoranza organizzata.
Secondo Mosca, anche se tale principio è inevitabile - nel senso che si verifica in ogni forma di governo – non è possibile però porre sullo stesso piano tutte le forme di governo, anzi, egli va alla ricerca della forma migliore dimostrando di non nutrire una sfiducia completa nei confronti del potere politico .
Egli è critico nei confronti del sistema elettorale italiano tanto da giungere ad affermare che non sono gli elettori ad eleggere il proprio rappresentante ma è il deputato che si fa eleggere dagli elettori. In particolare, per quanto riguarda la formazione della “classe politica”, egli ne traccia una storia, affermando che da sempre il potere è esercitato da una “classe speciale” così definita in base ai valori prevalenti in quella società. In un periodo primitivo è la forza fisica ad essere apprezzata, quindi la classe politica è composta da militari; i periodi di pace comporteranno anche sviluppo economico e quindi ricchezza ed il potere passerà ai ricchi; man mano che si svilupperà anche l’elemento intellettuale, la scienza si applicherà alla politica, dunque, il sapere, il merito personale, la virtù, il talento diverranno gli elementi che selezioneranno la minoranza di governo.
Mosca prevede anche un’involuzione, nel senso che per certi periodi può imporsi nuovamente il potere militare su quello economico ed intellettuale: tale fenomeno è il “cesarismo” e Mosca lo condanna in quanto ritiene che non possa durare a lungo nel tempo perché, alla lunga, la superiorità morale ed intellettuale prevale sempre sulla forza bruta e sulla superiorità della massa.
La classe politica non è sempre reclutata dalle stesse categorie sociali (in questo egli anticipa la “teoria della circolazione delle elite” di Pareto) nel senso che gradatamente, chi detiene il potere perde le attitudini al comando mentre queste attitudini possono essere acquisite da altri che il potere non detengono ancora formalmente e sono dunque destinati, in quanto migliori, a conquistarlo”.
"Egli sostiene che esiste una sola forma di governo e di classe politica, cioè, l'oligarchia. Mosca fa tale affermazione perché sostiene che in ogni società vi sono due classi di persone: i governanti (che sono le élite che hanno il potere politico) ed i governati (il resto della società). Secondo Mosca l'élite al potere è organizzata in modo tale da mantenere a lungo la propria posizione e tutelare i propri interessi, anche utilizzando i mezzi pubblici a sua disposizione.
Per questi motivi egli ritiene che la democrazia, il parlamentarismo, il socialismo siano solo delle utopie, delle teorie politiche per legittimare e mantenere un potere che è sempre in mano a pochi uomini. Infine, egli sostiene che vi è una riproduzione del potere per via democratica quando l'oligarchia permette, ai membri di qualsiasi classe sociale, l'ingresso al suo interno; vi è una riproduzione del potere per via aristocratica quando il ricambio avviene sempre all'interno della élite. Questo ricambio dipende anche dalla situazione dello stato in quel preciso momento: infatti in una condizione di guerra, l'accesso alla classe politica sarà facilitato a generali, comandanti etc.” (Wikipedia)
“Mosca si occupò esclusivamente delle élite politiche, anche se non ricorse al termine élite ma al termine classe politica: il ruolo di conduzione della società è, infatti, eminentemente politico.
Nel suo pensiero, ci sono due casi ricorrenti della vita politica i quali sono solo fenomeni apparenti:
vi è un uomo solo al comando,
l’élite si fa scalzare dalla massa mossa dal malcontento.
Nel primo caso l’autocrazia si basa su una classe politica, chi è a capo del governo non può muovere contro la classe politica: principio dell’organizzazione. Nel secondo caso, la massa, nonostante creda di poter scalzare definitivamente un’élite, emanerà di nuovo una ristretta classe politica, perché senza classe politica non si governa.
Dice Mosca: "È vero, come ci ha insegnato Karl Marx che la storia dell’umanità è una storia di lotta, ma non si tratta di lotta economica, bensì di lotta politica. È lotta tra una minoranza che vuole continuare ad essere classe politica e un’altra minoranza che aspira a diventarlo.
Ma per Mosca questa lotta non avviene tra più gruppi diversi per pensiero o per censo, ma tra due tipologie così individuabili[3]:
- quella che detiene il potere che Mosca chiama "materiale" (ovvero la "classe burocratica", che detiene il potere coercitivo);
- quella che detiene il potere "intellettuale".
Chi detiene il potere "intellettuale" aspirerebbe ad ottenere quello "materiale".
A sua volta, chi detiene il potere "materiale" necessita giustificarlo "mercé il sussidio di qualcuna almeno delle forze intellettuali o morali", e quindi mediante compromessi e concessioni al gruppo "intellettuale".[3]
L'insieme di questi due gruppi viene da lui definita come "classe politica"".
"La teoria delle classi politiche[modifica | modifica sorgente]
Secondo Mosca, in ogni sistema politico è possibile individuare:
- Una "classe politica". Mosca la definisce come "l'insieme delle gerarchie che materialmente e moralmente dirigono una società".[4]
- Una "formula politica". Mosca la definisce come "la dottrina o le credenze che danno una base morale al potere dei dirigenti".[4]
La regola fondamentale proposta dalla "Teoria della classi politiche" di Mosca è che alla modifica della "formula politica" consegue una modifica dell'organizzazione della classe politica.[4]
In altre parole, qualunque sistema politico si basa su di un consenso di fondo. Quando questo decade, ne consegue prima di tutto una modifica della "formula politica", atta ad un nuovo consenso. Parallelamente, avverranno adeguamenti sia nella composizione dei gruppi intellettuali e burocratici che formano la classe politica, sia nella sua forma organizzativa.
Da questa regola consegue anche una conseguenza storicista. Dice Mosca "È impossibile studiare la storia delle dottrine politiche senza studiare contemporaneamente quella delle istituzioni politiche"”
“Già nell'opera giovanile Teorica dei governi e governo parlamentare (1884; 2a ed. 1925, ristampa nella raccolta postuma Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica, 1958) è formulata la sua teoria della "classe politica". Esclusa l'esistenza di un sistema basato sul potere di una sola persona e della maggioranza del popolo, M. affermava che tutte le funzioni pubbliche sono sempre esercitate da una classe speciale di persone. Ogni classe politica, al fine di legittimare il proprio potere, si serve poi di un principio astratto pretendendo di ripetere la propria autorità da un sovrano, il quale poi a sua volta la riceve da Dio oppure dalla volontà popolare. Radicalmente avverso al regime parlamentare, M. ne denunciava le origini economiche: così, in Italia, i deputati per M. rappresentavano per la maggior parte la proprietà fondiaria e il capitale, e solo in minima parte le aspirazioni delle classi operaie. Contro l'individualismo liberale, M. riteneva il dogma della non ingerenza dello stato nei problemi economici e sociali assurdo e contraddittorio, giacché l'accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi trova garanzia e salvaguardia proprio nel sistema politico generale. Occorre, invece, un intervento attivo del potere pubblico per la distribuzione più equa delle ricchezze: M. proponeva, così, una soluzione gradualistica del problema sociale, senza nascondere la sua propensione per la classe media intellettuale. Occorreva mutare tutta la classe politica sulla base del merito personale e della capacità tecnica. Già nel corso del decennio successivo la posizione di M. subì un cambiamento notevole: da critico del sistema parlamentare, egli ne divenne illustre difensore”.
(Continua)
Ultima modifica di Davide Selis il Lun Set 01, 2014 10:13 pm - modificato 1 volta.
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
"Nella prima edizione degli Elementi di scienza politica (1896; 2a ed. ampliata 1923) M. ammetteva che, nelle condizioni del momento, la soppressione delle assemblee rappresentative sarebbe stata seguita da un regime assoluto, o meglio burocratico. Tale convinzione si rafforzò nel momento più grave della crisi del regime parlamentare. Nei suoi scritti del 1925, Stato liberale e stato sindacale eIl problema sindacale (ora nell'altra raccolta postuma Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, 1949), M. individuava la maggior minaccia alla sussistenza dello stato liberale e al predominio della classe media nell'avvento di un ordinamento sindacalista, che avrebbe dato la prevalenza alle classi più numerose e meno colte".
"in qualsiasi societa nazionale sara sempre riscontrabile
la presenza di una piu o meno
ristretta elite organizzata che detiene e gestisce
il potere, e una maggioranza di soggetti
che vedra la propria esistenza condizionata
dalle concrete modalita con cui
questo potere verra esercitato dall’elite al
comando. In sostanza, ogni regime politico
e governato da minoranze organizzate
(come scriveva Mosca nel brano citato
nell’introduzione), a scapito o in rappresentanza
di maggioranze disorganizzate".
“...riconosce come unica realtà sociale, quella in cui una minoranza dominante governa la maggioranza...”
Le minoranze governanti sono formate in maniera che gli individui che le compongono: "si distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale od anche morale…essi, in altre parole, devono avere qualche requisito, vero o apparente, che è fortemente apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale vivono" oppure sono gli eredi di coloro che possedevano queste caratteristiche".
"Smentendo la teoria del principio ereditario nella classe politica, poiché se veramente essa appartenesse ad una razza superiore, non dovrebbe decadere o perdere il potere, come effettivamente accade, queste qualità sono costituite dal: coraggio personale, la lealtà, la capacità di lavoro, la volontà di innalzarsi, il senso di concretezza, l'energia nel comandare, ed altre ancora, che nell'insieme creano l'arte di governo".
"L'uomo di governo è colui che ha le qualità richieste per arrivare ai posti più elevati della gerarchia politica e per sapervi restare".
"All'uomo di governo, che Mosca definisce arrivista e trasformista, contrappone: "Uomo di stato è colui che per la vastità delle sue cognizioni e per la profondità delle sue vedute acquista una coscienza chiara e precisa dei bisogni della società in cui vive e che sa trovare la via migliore per condurla, con le minori scosse e le minori sofferenze possibili, alla meta alla quale dovrebbe o almeno potrebbe arrivare".
Il male del governo parlamentare, è che in esso predomina la figura del politicante professionista, e manca quella dell'uomo di stato"".
"L'idea che qualunque forma di governo sia retta da una minoranza organizzata rappresenta la tesi fondamentale su cui si regge la teoria politica di Mosca.
La minoranza organizzata viene chiamata anche classe politica".
"...quando in una società il governo è espressione di una autorità esercitata in nome di un fantomatico popolo sovrano, in realtà i governanti sono sempre una minoranza che lavorano per sé e non per una classe numerosa subordinata che non partecipa mai realmente e in alcun modo al governo, limitandosi a subirlo"
"il nucleo della teoria afferma che in ogni regime politico chi detiene il potere proviene sempre da una minoranza organizzata, la quale, in virtù di tale vincolante organizzazione, si impone alla maggioranza disorganizzata, giustificando il proprio dominio sulla base di "principi astratti" o "formula politica" che risulta essere l'insieme delle credenze sulle quali una classe politica fonda la legittimizzazione della propria occupazione del potere. Nella pratica si tratta dell'operazione che consente di trasformare un potere di fatto in un potere di diritto. L'obiettivo di questa teoria è, secondo Mosca, di dimostrare che la "sovranità popolare" è una finzione anche in regime democratico, nel quale la minoranza organizzata in classe politica adopera i procedimenti elettorali, manipolati a dovere, per giungere al potere e per conservarlo".
"Mosca combattè altresì le nuove istanze "proletarie" mettendone in evidenza miti, errori, prepotenze. Improntò la sua azione parlamentare alla difesa di una classe media intellettuale coerentemente alla sua convinzione che tendeva a privilegiare l'intelligenza riguardo alla ricchezza. Tutto il suo pensiero e atteggiamento fu coerente con questa sua linea. Fu quindi liberista in economia, si affiancò ai liberali nel contrastare il potere ecclesiastico, estremamente conservatore nella politica sociale. Egli stesso si autodefiniva "liberale ma non democratico". Tuttavia all'avvento del fascismo moderò il suo istintivo antiparlamentarismo e a tal uopo la seconda edizione degli Elementi contiene l'esortazione ai giovani di mantenere il regime politico ereditato dai padri e coerentemente si oppose in senato al disegno di legge fascista sulle prerogative del capo di governo".
(Continua)
"Nella prima edizione degli Elementi di scienza politica (1896; 2a ed. ampliata 1923) M. ammetteva che, nelle condizioni del momento, la soppressione delle assemblee rappresentative sarebbe stata seguita da un regime assoluto, o meglio burocratico. Tale convinzione si rafforzò nel momento più grave della crisi del regime parlamentare. Nei suoi scritti del 1925, Stato liberale e stato sindacale eIl problema sindacale (ora nell'altra raccolta postuma Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, 1949), M. individuava la maggior minaccia alla sussistenza dello stato liberale e al predominio della classe media nell'avvento di un ordinamento sindacalista, che avrebbe dato la prevalenza alle classi più numerose e meno colte".
"in qualsiasi societa nazionale sara sempre riscontrabile
la presenza di una piu o meno
ristretta elite organizzata che detiene e gestisce
il potere, e una maggioranza di soggetti
che vedra la propria esistenza condizionata
dalle concrete modalita con cui
questo potere verra esercitato dall’elite al
comando. In sostanza, ogni regime politico
e governato da minoranze organizzate
(come scriveva Mosca nel brano citato
nell’introduzione), a scapito o in rappresentanza
di maggioranze disorganizzate".
“...riconosce come unica realtà sociale, quella in cui una minoranza dominante governa la maggioranza...”
Le minoranze governanti sono formate in maniera che gli individui che le compongono: "si distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale od anche morale…essi, in altre parole, devono avere qualche requisito, vero o apparente, che è fortemente apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale vivono" oppure sono gli eredi di coloro che possedevano queste caratteristiche".
"Smentendo la teoria del principio ereditario nella classe politica, poiché se veramente essa appartenesse ad una razza superiore, non dovrebbe decadere o perdere il potere, come effettivamente accade, queste qualità sono costituite dal: coraggio personale, la lealtà, la capacità di lavoro, la volontà di innalzarsi, il senso di concretezza, l'energia nel comandare, ed altre ancora, che nell'insieme creano l'arte di governo".
"L'uomo di governo è colui che ha le qualità richieste per arrivare ai posti più elevati della gerarchia politica e per sapervi restare".
"All'uomo di governo, che Mosca definisce arrivista e trasformista, contrappone: "Uomo di stato è colui che per la vastità delle sue cognizioni e per la profondità delle sue vedute acquista una coscienza chiara e precisa dei bisogni della società in cui vive e che sa trovare la via migliore per condurla, con le minori scosse e le minori sofferenze possibili, alla meta alla quale dovrebbe o almeno potrebbe arrivare".
Il male del governo parlamentare, è che in esso predomina la figura del politicante professionista, e manca quella dell'uomo di stato"".
"L'idea che qualunque forma di governo sia retta da una minoranza organizzata rappresenta la tesi fondamentale su cui si regge la teoria politica di Mosca.
La minoranza organizzata viene chiamata anche classe politica".
"...quando in una società il governo è espressione di una autorità esercitata in nome di un fantomatico popolo sovrano, in realtà i governanti sono sempre una minoranza che lavorano per sé e non per una classe numerosa subordinata che non partecipa mai realmente e in alcun modo al governo, limitandosi a subirlo"
"il nucleo della teoria afferma che in ogni regime politico chi detiene il potere proviene sempre da una minoranza organizzata, la quale, in virtù di tale vincolante organizzazione, si impone alla maggioranza disorganizzata, giustificando il proprio dominio sulla base di "principi astratti" o "formula politica" che risulta essere l'insieme delle credenze sulle quali una classe politica fonda la legittimizzazione della propria occupazione del potere. Nella pratica si tratta dell'operazione che consente di trasformare un potere di fatto in un potere di diritto. L'obiettivo di questa teoria è, secondo Mosca, di dimostrare che la "sovranità popolare" è una finzione anche in regime democratico, nel quale la minoranza organizzata in classe politica adopera i procedimenti elettorali, manipolati a dovere, per giungere al potere e per conservarlo".
"Mosca combattè altresì le nuove istanze "proletarie" mettendone in evidenza miti, errori, prepotenze. Improntò la sua azione parlamentare alla difesa di una classe media intellettuale coerentemente alla sua convinzione che tendeva a privilegiare l'intelligenza riguardo alla ricchezza. Tutto il suo pensiero e atteggiamento fu coerente con questa sua linea. Fu quindi liberista in economia, si affiancò ai liberali nel contrastare il potere ecclesiastico, estremamente conservatore nella politica sociale. Egli stesso si autodefiniva "liberale ma non democratico". Tuttavia all'avvento del fascismo moderò il suo istintivo antiparlamentarismo e a tal uopo la seconda edizione degli Elementi contiene l'esortazione ai giovani di mantenere il regime politico ereditato dai padri e coerentemente si oppose in senato al disegno di legge fascista sulle prerogative del capo di governo".
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Se Gaetano Mosca ebbe coraggio intellettuale, sposare OGGI la sua tesi sulla democrazia ne richiede assai di più. Ma le avanguardie devono essere coraggiose, e porteremo questo peso ancora una volta. Quando il presente elaborato sarà concluso, prevedo di proporlo in twitter, tramite link, e mi prefiguro reazioni assai poco gradevoli. E' difficile infatti stroncare impunemente l'ideologia di qualunque persona combattiva o aggressiva, è ancora più difficile contrastare il credo di un gruppo; non parliamo poi di una sfida al “pensiero” e al sentire dell'intera società attuale, e NELLE ATTUALI CONDIZIONI STORICHE.
Ma, secondo le mie previsioni, è solo una questione di tempo: entro qualche decennio l'assurdo totem “DEMOCRAZIA” crollerà, e poco tempo dopo sarà rimosso, come se questa illusione non avesse mai riguardato il genere umano. Ho già fatto le prime “prove” di un atteggiamento mentale e di una dichiarazione di intenti non-democratica, con persone molto miti, aperte ed a me vicine nonché affezionate. Mi sento rivolgere quella stessa obiezione che io pure rivolgevo a me medesimo quando cominciavo a dubitare della democrazia; l'identica riserva che mi manifesteranno nei social-network i migliori dei miei interlocutori. Vale a dire: “D'accordo che la democrazia ha dei difetti, ma che cosa proponi per sostituirla, come programma politico ideale? Tu conosci una alternativa migliore? Esiste una alternativa migliore?”. Questa domanda mi bloccava un tempo, quando il mio dubbio era ai suoi primi vagiti. Oggi, dopo che ho rincontrato Gaetano Mosca (sia pure indirettamente), non ho più alcun imbarazzo,e posso rispondere: “LA DEMOCRAZIA NON ESISTE E NON E' NEMMENO POSSIBILE; NON HA SENSO DUNQUE IL QUESITO. NON SI PUO' INFATTI REALIZZARE QUALCOSA DI MEGLIO, O QUALCOSA DI PEGGIO, DI UNA COSA INESISTENTE E IMPOSSIBILE. NON CHIEDETEMI DI CONFRONTARMI CON LA NUOVA ATLANTIDE DI FRANCESCO BACONE, O CON L'UTOPIA DI TOMASO MORO, NON HO TEMPO DA PERDERE...”
Quanto al “che fare”, al come muoverci e organizzarci politicamente, quando l'umanità si sarà liberata dell'illusoria ideologia democratica, io posso solo offrire qualche spunto di pensiero, come risposta a questo quesito, qualche motivo del tutto relativo e parziale. E così pure nel campo a me più congeniale, che non è quello operativo bensì quello cognitivo-culturale, quello della rappresentazione mentale della realtà, e della progettazione ideale. Dopo esserci spogliati dell'abito mentale democratico, di che cosa ci vestiremo? Relativamente ad entrambe le tematiche di cui sopra, che presto saranno due aree di crisi che riguarderanno tutti, mi sento di atteggiarmi fin d'ora come Beppe Grillo, quando rispondeva a chi gli chiedeva come si sarebbe potuti uscire economicamente dal default, se questo fosse diventato un passaggio obbligato (oppure perseguito intenzionalmente e raggiunto). “Come risollevarci”, diceva Grillo, “non chiedetelo a me, non sono tenuto a sapervi rispondere. La risposta la dovranno offrire le migliori duecento intelligenze italiane”. Allo stesso modo io dico: non chiedete a me con che cosa sostituire l'ideale-progetto-sogno democratico: un insieme di migliaia di intelligenze nel mondo dovrà costruire la nuova narrazione della realtà. O forse sarà l'opera di un singolo genio, un nuovo Karl Marx. Ma in un caso come nell'altro, non è affar mio. Io posso soltanto offrire qualche motivo di riflessione, nella speranza che serva per la costruzione del mondo nuovo. Ed è quello che farò nel prosieguo di questo topic. Chiunque voglia potrà unire i suoi sforzi ai miei, per tentare di collaborare fin d'ora alla nuova narrazione della realtà politica e sociale. Che sarà, con orgoglio, non più “democratica”.
(Continua)
Se Gaetano Mosca ebbe coraggio intellettuale, sposare OGGI la sua tesi sulla democrazia ne richiede assai di più. Ma le avanguardie devono essere coraggiose, e porteremo questo peso ancora una volta. Quando il presente elaborato sarà concluso, prevedo di proporlo in twitter, tramite link, e mi prefiguro reazioni assai poco gradevoli. E' difficile infatti stroncare impunemente l'ideologia di qualunque persona combattiva o aggressiva, è ancora più difficile contrastare il credo di un gruppo; non parliamo poi di una sfida al “pensiero” e al sentire dell'intera società attuale, e NELLE ATTUALI CONDIZIONI STORICHE.
Ma, secondo le mie previsioni, è solo una questione di tempo: entro qualche decennio l'assurdo totem “DEMOCRAZIA” crollerà, e poco tempo dopo sarà rimosso, come se questa illusione non avesse mai riguardato il genere umano. Ho già fatto le prime “prove” di un atteggiamento mentale e di una dichiarazione di intenti non-democratica, con persone molto miti, aperte ed a me vicine nonché affezionate. Mi sento rivolgere quella stessa obiezione che io pure rivolgevo a me medesimo quando cominciavo a dubitare della democrazia; l'identica riserva che mi manifesteranno nei social-network i migliori dei miei interlocutori. Vale a dire: “D'accordo che la democrazia ha dei difetti, ma che cosa proponi per sostituirla, come programma politico ideale? Tu conosci una alternativa migliore? Esiste una alternativa migliore?”. Questa domanda mi bloccava un tempo, quando il mio dubbio era ai suoi primi vagiti. Oggi, dopo che ho rincontrato Gaetano Mosca (sia pure indirettamente), non ho più alcun imbarazzo,e posso rispondere: “LA DEMOCRAZIA NON ESISTE E NON E' NEMMENO POSSIBILE; NON HA SENSO DUNQUE IL QUESITO. NON SI PUO' INFATTI REALIZZARE QUALCOSA DI MEGLIO, O QUALCOSA DI PEGGIO, DI UNA COSA INESISTENTE E IMPOSSIBILE. NON CHIEDETEMI DI CONFRONTARMI CON LA NUOVA ATLANTIDE DI FRANCESCO BACONE, O CON L'UTOPIA DI TOMASO MORO, NON HO TEMPO DA PERDERE...”
Quanto al “che fare”, al come muoverci e organizzarci politicamente, quando l'umanità si sarà liberata dell'illusoria ideologia democratica, io posso solo offrire qualche spunto di pensiero, come risposta a questo quesito, qualche motivo del tutto relativo e parziale. E così pure nel campo a me più congeniale, che non è quello operativo bensì quello cognitivo-culturale, quello della rappresentazione mentale della realtà, e della progettazione ideale. Dopo esserci spogliati dell'abito mentale democratico, di che cosa ci vestiremo? Relativamente ad entrambe le tematiche di cui sopra, che presto saranno due aree di crisi che riguarderanno tutti, mi sento di atteggiarmi fin d'ora come Beppe Grillo, quando rispondeva a chi gli chiedeva come si sarebbe potuti uscire economicamente dal default, se questo fosse diventato un passaggio obbligato (oppure perseguito intenzionalmente e raggiunto). “Come risollevarci”, diceva Grillo, “non chiedetelo a me, non sono tenuto a sapervi rispondere. La risposta la dovranno offrire le migliori duecento intelligenze italiane”. Allo stesso modo io dico: non chiedete a me con che cosa sostituire l'ideale-progetto-sogno democratico: un insieme di migliaia di intelligenze nel mondo dovrà costruire la nuova narrazione della realtà. O forse sarà l'opera di un singolo genio, un nuovo Karl Marx. Ma in un caso come nell'altro, non è affar mio. Io posso soltanto offrire qualche motivo di riflessione, nella speranza che serva per la costruzione del mondo nuovo. Ed è quello che farò nel prosieguo di questo topic. Chiunque voglia potrà unire i suoi sforzi ai miei, per tentare di collaborare fin d'ora alla nuova narrazione della realtà politica e sociale. Che sarà, con orgoglio, non più “democratica”.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Nel post precedente ho prefigurato un movimento di pensiero, ed un travaglio collettivo diffuso, che dovranno ristrutturare la narrazione della realtà, liberandola da una categoria fittizia, ingannevole ed utopica come quella di democrazia. Come tutti i movimenti di pensiero ed i momenti di travaglio collettivo storico, questo processo sarà caratterizzato da contraddizioni, da tesi ed antitesi che prevarranno alternativamente e stenteranno a trovare la mediazione e la sintesi; sarà segnato inoltre da frequenti ricadute in quello stesso passato , in quelle stesse stesse categorie mentali che si tenterà di superare. Personalmente, mi vedo già ad incarnare una di queste contraddizioni, da subito, da quando avrò finito di scrivere questo elaborato e con esso avrò “sconfessato” la democrazia come fede e come abito mentale personale. Mi immagino dunque in una assemblea infuocata, nella quale il conduttore tenti di prevaricare, di non lasciar parlare i convenuti o di non rispettarne la volontà manifesta. Oggi un simile prepotente lo si stoppa subito con una definizione-spauracchio: “NON SEI DEMOCRATICO!” o “QUI NON C'E' DEMOCRAZIA!”. Domani, quando avrò rinnegato la democrazia, che cosa potrò dire? La motivazione di fondo a contrastare gli abusi e le prepotenze, non verrà di certo a mancarmi: io sono cristiano - credo nella uguale dignità di tutti gli uomini - credo di non dover fare agli altri quello che non vorrei fosse fatto a me - credo che il bisogno di esprimere la propria soggettività sia una necessità primaria di tutti gli esseri umani; io quindi trovo immorale impedire a qualcuno di esprimersi, o non rispettarne o falsificarne il pensiero. Ma se mi provassi a contrastare un prevaricatore con una simile pappardella, quel prepotente avrebbe vinto in partenza. E peggio ancora andrebbe per coloro che non sono credenti ma si riferiscono al pensiero laico illuministico: dovrebbero fare una “circonvallazione” dialettica ancora più faticosa, e con esito ancora più debole. Come farò, come faremo finché la nuova rappresentazione sociale della realtà non si sarà compiuta, consolidata e radicata nelle coscienze? Finché non avremo i gettoni, le “fiches” nuove, per giocare la partita al tavolo del confronto dialettico e/o politico, dovremo usare le vecchie “fiches”, tanto collaudate ed efficaci. Per stoppare un prepotente anch'io dunque dovrò continuare a gridargli “sei antidemocratico”, pur avendo rinnegato la democrazia. Cadrò dunque in palese contraddizione. Questo pesa non poco ad uno come me, tanto orgoglioso della propria logicità e coerenza, ma non vi è nulla da fare: è il prezzo da pagare alla crescita, al cambiamento, alla autenticità.
Ma le persistenze della categoria mentale che oggi chiamiamo “democrazia”, non saranno soltanto un residuo storico del passato, un detrito dovuto ai limiti del divenire umano. Se fa testo il pensiero di Gaetano Mosca, che ho richiamato in due post precedenti, qualche valvola superstite, di autentica “democrazia”, è da perseguirsi sia nel pensiero che nella prassi. Nel pensiero, nella dottrina politica, abbiano visto come secondo Mosca “... vi è una riproduzione del potere per via democratica quando l'oligarchia permette, ai membri di qualsiasi classe sociale, l'ingresso al suo interno; vi è una riproduzione del potere per via aristocratica quando il ricambio avviene sempre all'interno della élite.” Nella prassi: credo che convenga a tutti, anche a chi non aspira al ruolo di detentore del potere, tenere aperti con la pressione popolare, i canali che consentano un ricambio illimitato degli addetti ai lavori della politica. Da un punto di vista di salute pubblica o interesse collettivo dei governati: quando la classe che governa si comporta in modo negativo (o peggio ancora distruttivo) per gli interessi dei governati, per difendere questi interessi è bene che vi sia un canale aperto per ottenere cambiamenti, senza dover per forza ricorrere alla rivoluzione con le armi. Ed anche da un punto di vista di felicità individuale: alcuni esseri umani hanno la vocazione della politica, come altri hanno quella del commercio al dettaglio; se non è giusto impedire di aprire un negozio a chi lo voglia fare per realizzarsi, è altrettanto iniquo precludere a priori l'auto-realizzazione a chi si senta “uomo politico”, particolarmente.
Ma sopravviverà anche domani una eredità culturale del concetto di “democrazia”, ancora più preziosa: la democrazia, secondo i suoi teorici, non è soltanto una partecipazione del popolo al governo della comunità (partecipazione nella quale Gaetano Mosca non credeva, ed io pure più non credo), ma è anche una “partecipazione di tutti i cittadini alla formazione dei valori che reggono la vita consociata”. Questo principio, oggi tanto ignorato, può essere salvato nella teoria, e realizzato parzialmente e progressivamente nella prassi.
(Continua)
Nel post precedente ho prefigurato un movimento di pensiero, ed un travaglio collettivo diffuso, che dovranno ristrutturare la narrazione della realtà, liberandola da una categoria fittizia, ingannevole ed utopica come quella di democrazia. Come tutti i movimenti di pensiero ed i momenti di travaglio collettivo storico, questo processo sarà caratterizzato da contraddizioni, da tesi ed antitesi che prevarranno alternativamente e stenteranno a trovare la mediazione e la sintesi; sarà segnato inoltre da frequenti ricadute in quello stesso passato , in quelle stesse stesse categorie mentali che si tenterà di superare. Personalmente, mi vedo già ad incarnare una di queste contraddizioni, da subito, da quando avrò finito di scrivere questo elaborato e con esso avrò “sconfessato” la democrazia come fede e come abito mentale personale. Mi immagino dunque in una assemblea infuocata, nella quale il conduttore tenti di prevaricare, di non lasciar parlare i convenuti o di non rispettarne la volontà manifesta. Oggi un simile prepotente lo si stoppa subito con una definizione-spauracchio: “NON SEI DEMOCRATICO!” o “QUI NON C'E' DEMOCRAZIA!”. Domani, quando avrò rinnegato la democrazia, che cosa potrò dire? La motivazione di fondo a contrastare gli abusi e le prepotenze, non verrà di certo a mancarmi: io sono cristiano - credo nella uguale dignità di tutti gli uomini - credo di non dover fare agli altri quello che non vorrei fosse fatto a me - credo che il bisogno di esprimere la propria soggettività sia una necessità primaria di tutti gli esseri umani; io quindi trovo immorale impedire a qualcuno di esprimersi, o non rispettarne o falsificarne il pensiero. Ma se mi provassi a contrastare un prevaricatore con una simile pappardella, quel prepotente avrebbe vinto in partenza. E peggio ancora andrebbe per coloro che non sono credenti ma si riferiscono al pensiero laico illuministico: dovrebbero fare una “circonvallazione” dialettica ancora più faticosa, e con esito ancora più debole. Come farò, come faremo finché la nuova rappresentazione sociale della realtà non si sarà compiuta, consolidata e radicata nelle coscienze? Finché non avremo i gettoni, le “fiches” nuove, per giocare la partita al tavolo del confronto dialettico e/o politico, dovremo usare le vecchie “fiches”, tanto collaudate ed efficaci. Per stoppare un prepotente anch'io dunque dovrò continuare a gridargli “sei antidemocratico”, pur avendo rinnegato la democrazia. Cadrò dunque in palese contraddizione. Questo pesa non poco ad uno come me, tanto orgoglioso della propria logicità e coerenza, ma non vi è nulla da fare: è il prezzo da pagare alla crescita, al cambiamento, alla autenticità.
Ma le persistenze della categoria mentale che oggi chiamiamo “democrazia”, non saranno soltanto un residuo storico del passato, un detrito dovuto ai limiti del divenire umano. Se fa testo il pensiero di Gaetano Mosca, che ho richiamato in due post precedenti, qualche valvola superstite, di autentica “democrazia”, è da perseguirsi sia nel pensiero che nella prassi. Nel pensiero, nella dottrina politica, abbiano visto come secondo Mosca “... vi è una riproduzione del potere per via democratica quando l'oligarchia permette, ai membri di qualsiasi classe sociale, l'ingresso al suo interno; vi è una riproduzione del potere per via aristocratica quando il ricambio avviene sempre all'interno della élite.” Nella prassi: credo che convenga a tutti, anche a chi non aspira al ruolo di detentore del potere, tenere aperti con la pressione popolare, i canali che consentano un ricambio illimitato degli addetti ai lavori della politica. Da un punto di vista di salute pubblica o interesse collettivo dei governati: quando la classe che governa si comporta in modo negativo (o peggio ancora distruttivo) per gli interessi dei governati, per difendere questi interessi è bene che vi sia un canale aperto per ottenere cambiamenti, senza dover per forza ricorrere alla rivoluzione con le armi. Ed anche da un punto di vista di felicità individuale: alcuni esseri umani hanno la vocazione della politica, come altri hanno quella del commercio al dettaglio; se non è giusto impedire di aprire un negozio a chi lo voglia fare per realizzarsi, è altrettanto iniquo precludere a priori l'auto-realizzazione a chi si senta “uomo politico”, particolarmente.
Ma sopravviverà anche domani una eredità culturale del concetto di “democrazia”, ancora più preziosa: la democrazia, secondo i suoi teorici, non è soltanto una partecipazione del popolo al governo della comunità (partecipazione nella quale Gaetano Mosca non credeva, ed io pure più non credo), ma è anche una “partecipazione di tutti i cittadini alla formazione dei valori che reggono la vita consociata”. Questo principio, oggi tanto ignorato, può essere salvato nella teoria, e realizzato parzialmente e progressivamente nella prassi.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
"Un piccolo contributo: "una sana società post-democratica avrà la solidarietà fra i suoi principi ispiratori; dunque l'accusa di essere anti-democratico, nell'esempio dell'oratore prevaricatore, potrà essere sostituita da quella di essere non solidale”.
Questo contributo mi è stato offerto tramite missiva privata, da una persona profonda nonché brillante a me vicina, e contiene forse un nocciolo di verità (se gli accadimenti storici prenderanno la piega che noi prevediamo). Tuttavia, prima che il valore della “solidarietà” abbia acquisito una pregnanza, una universalità, un radicamento nelle coscienze; prima che esso sia divenuto coercitivo all'assenso come oggi lo è il termine “democrazia”, occorrerà invocare ancora quest'ultimo termine, per difendersi da determinate violenze: anche i moralisti più intransigenti ammettono infatti la menzogna, per un fine morale superiore. Quello che si poneva come contraddizione o inganno transitorio, tale rimane.
…............................................................................................................................................
Avevo promesso un “pensiero debole”, nel preannunciare questi spunti o contributi per un nuovo orizzonte concettuale. Permettetemi dunque di essere molto rilassato, e riposante: l'abbandono del peso di una categoria insostenibile, quale quella di democrazia, sarà per tutti gli intellettuali seri, e per tutti i cittadini impegnati nel sociale, un meraviglioso riposo. Questo riposo sarà forse troppo lungo e pericoloso, perché dopo “troppa tesi” segue sempre “troppa antitesi”. Ma in ogni caso, deporre un fardello insostenibile, quale la pretesa assurda di determinare, noi, uomini della strada, i destini delle nazioni e del mondo... la pretesa che dei bambini, quali noi siamo, possano guidare una macchina che nessuno è in grado di pilotare... o, più limitatamente, la pretesa assurda che il debole influsso esercitato da professionisti della politica su di una macchina che ha “ha scaraventato il cavaliere al suolo e corre cieca nello spazio” (v. Max Horkheimer) possa essere esercitato pure da noi, uomini della strada, bambini... ragazzi, che riposo delizioso, non pensarci più... Le persone migliori, quelle più responsabili e volte al bene, portano da tanti decenni un peso che le massacra, le frustra, o dona loro assurdi sensi di colpa (per le inevitabili “defaillances”): tutto cominciò con la contestazione del “68, con “LOTTA CONTINUA” che predicava “tutto è politica”. D'accordo, *in un certo senso* tutto è politica, ovvero la vita di tutti noi, in ogni suo momento e in ogni sua dimensione, è determinata da scelte politiche che la sovrastano. Ma questo non significa che dobbiamo o possiamo essere noi a compiere quelle scelte. Non ne abbiamo né la forza né la possibilità. Siamo bambini, rispettateci... lasciateci vivere e godere la nostra condizione infantile... lasciateci andare la sera a teatro o al bar senza sentirci in colpa perché non andiamo a illuderci di “fare politica” in qualche sede di partito.
…............................................................................................................................................ Una concezione disincantata come la mia potrà apparire foriera di superficialità, irresponsabilità, evasione dalla realtà e dall'impegno etico: nulla di tutto ciò, questa concezione è foriera piuttosto di un meraviglioso RIPOSO. Provate a pensare se tutti quei giovani volenterosi che hanno occupato le sedi del Partito Democratico avessero capito che non vi è nulla da fare, che la DEMOCRAZIA DECISIONALE NON è POSSIBILE ED è INUTILE PERSEGUIRLA... quante energie costruttive si sarebbero liberate e ritrovate per una finalità alta e concreta: per una democrazia “spirituale” o “sostanziale”, non politica, non decisionale. Ovvero, per quella “partecipazione di tutti i cittadini alla determinazione dei valori che reggono la vita consociata”, come si diceva alla fine del post precedente.
(Continua)
"Un piccolo contributo: "una sana società post-democratica avrà la solidarietà fra i suoi principi ispiratori; dunque l'accusa di essere anti-democratico, nell'esempio dell'oratore prevaricatore, potrà essere sostituita da quella di essere non solidale”.
Questo contributo mi è stato offerto tramite missiva privata, da una persona profonda nonché brillante a me vicina, e contiene forse un nocciolo di verità (se gli accadimenti storici prenderanno la piega che noi prevediamo). Tuttavia, prima che il valore della “solidarietà” abbia acquisito una pregnanza, una universalità, un radicamento nelle coscienze; prima che esso sia divenuto coercitivo all'assenso come oggi lo è il termine “democrazia”, occorrerà invocare ancora quest'ultimo termine, per difendersi da determinate violenze: anche i moralisti più intransigenti ammettono infatti la menzogna, per un fine morale superiore. Quello che si poneva come contraddizione o inganno transitorio, tale rimane.
…............................................................................................................................................
Avevo promesso un “pensiero debole”, nel preannunciare questi spunti o contributi per un nuovo orizzonte concettuale. Permettetemi dunque di essere molto rilassato, e riposante: l'abbandono del peso di una categoria insostenibile, quale quella di democrazia, sarà per tutti gli intellettuali seri, e per tutti i cittadini impegnati nel sociale, un meraviglioso riposo. Questo riposo sarà forse troppo lungo e pericoloso, perché dopo “troppa tesi” segue sempre “troppa antitesi”. Ma in ogni caso, deporre un fardello insostenibile, quale la pretesa assurda di determinare, noi, uomini della strada, i destini delle nazioni e del mondo... la pretesa che dei bambini, quali noi siamo, possano guidare una macchina che nessuno è in grado di pilotare... o, più limitatamente, la pretesa assurda che il debole influsso esercitato da professionisti della politica su di una macchina che ha “ha scaraventato il cavaliere al suolo e corre cieca nello spazio” (v. Max Horkheimer) possa essere esercitato pure da noi, uomini della strada, bambini... ragazzi, che riposo delizioso, non pensarci più... Le persone migliori, quelle più responsabili e volte al bene, portano da tanti decenni un peso che le massacra, le frustra, o dona loro assurdi sensi di colpa (per le inevitabili “defaillances”): tutto cominciò con la contestazione del “68, con “LOTTA CONTINUA” che predicava “tutto è politica”. D'accordo, *in un certo senso* tutto è politica, ovvero la vita di tutti noi, in ogni suo momento e in ogni sua dimensione, è determinata da scelte politiche che la sovrastano. Ma questo non significa che dobbiamo o possiamo essere noi a compiere quelle scelte. Non ne abbiamo né la forza né la possibilità. Siamo bambini, rispettateci... lasciateci vivere e godere la nostra condizione infantile... lasciateci andare la sera a teatro o al bar senza sentirci in colpa perché non andiamo a illuderci di “fare politica” in qualche sede di partito.
…............................................................................................................................................ Una concezione disincantata come la mia potrà apparire foriera di superficialità, irresponsabilità, evasione dalla realtà e dall'impegno etico: nulla di tutto ciò, questa concezione è foriera piuttosto di un meraviglioso RIPOSO. Provate a pensare se tutti quei giovani volenterosi che hanno occupato le sedi del Partito Democratico avessero capito che non vi è nulla da fare, che la DEMOCRAZIA DECISIONALE NON è POSSIBILE ED è INUTILE PERSEGUIRLA... quante energie costruttive si sarebbero liberate e ritrovate per una finalità alta e concreta: per una democrazia “spirituale” o “sostanziale”, non politica, non decisionale. Ovvero, per quella “partecipazione di tutti i cittadini alla determinazione dei valori che reggono la vita consociata”, come si diceva alla fine del post precedente.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Ricevo ancora in privato (i più intelligenti e sensibili dei miei interlocutori hanno capito che “VIVA I BIDELLI” non è più un forum ma è divenuto un blog, e tale vuole rimanere):
“"D'accordo, *in un certo senso* tutto è politica, ovvero la vita di tutti noi, in ogni suo momento e in ogni sua dimensione, è determinata da scelte politiche che la sovrastano. Ma questo non significa che dobbiamo o possiamo essere noi a compiere quelle scelte."
Mi sembra che dimentichi un aspetto importante, e che in qualche modo osteggia il tuo ragionamento: la vita di tutti noi non solo è condizionata da scelte politiche, ma a sua volta, in piccola ma significativa misura, le condiziona.
Ogni acquisto che facciamo determina le strategie commerciali: tendiamo a dimenticarci che non è l'offerta che determina la domanda ma il contrario. Stanno sorgendo, ad esempio, molti negozi che offrono prodotti biologici e vegani perché si sta diffondendo una nuova cultura ecologica e alimentare. Anche l'attenzione al rispetto dei lavoratori nei processi produttivi, o a quello degli animali, sono tematiche che influenzano, come mai prima, gli stessi processi produttivi e commerciali e, a fini come questo, il contributo del singolo ha valore e importanza, nell'azione (acquisti consapevoli, buone pratiche di smaltimento rifiuti o di risparmio di energia, eccetera), nell'esempio e nella discussione (agevolata dai social network).
Come ben capisci, il discorso può essere facilmente traslato da un piano rigidamente commerciale a quello politico: l'offerta di orientamenti e strumenti di governo sarà correlata alla richiesta”.
E' un bellissimo contributo, che anticipa e facilita il prosieguo della trattazione del nostro tema.
Vi è certamente un rapporto di interazione e di interdipendenza, fra le elaborazioni mentali nonché i comportamenti, di coloro che compongono la “società civile”, e le scelte politiche che qui-ed-ora vengono operate dagli addetti alla politica (o “classe politica”, come li chiama Gaetano Mosca). Sostenevo nel post precedente che, perduta l'illusione di poter guidare la macchina senza avere né la patente né le capacità di guida, resterà un ampio terreno di “democrazia di fondo” dove si potranno coltivare le idee-guida, le ideologie che impregneranno di sé un po' alla volta l'intera società, e finiranno per condizionare o determinare anche le scelte dei politici. Perché pure la dittatura più sfrontata e prepotente ama essere popolare, fare quello che il popolo richiede o apprezza. Mi viene alla mente a questo punto il grande travaglio che caratterizzò la psicologia sociale alcuni decenni or sono, nel tentativo di comprendere e spiegare quel fenomeno chiamato “rappresentazioni sociali” . Gli studiosi impegnati in questo titanico tentativo, sulle orme di Serge Moscovici, presero atto che nella società vi sono delle ondate o maree montanti di pensiero collettivo (per esempio, in un tempo ormai remoto “tutti”, anche al bar o sugli autobus, parlavano di psicoanalisi; in un tempo più recente, di astrologia; più recentemente ancora, di AIDS... ) e tentarono di spiegare il fenomeno in questione. Uno dei primi risultati del loro sforzo interpretativo, fu quello di appurare che gli esseri umani costruiscono le ideologie dal basso, in una costante interazione comunicativa fra loro, fatta di momenti semplici e banali, come un viaggio in autobus o una passeggiata per strada fra due persone: siamo come tante formiche che in piena umiltà ed inconsapevolezza, anziché costruire un formicaio, costruiscono una intelaiatura culturale ed un contenuto di pensiero, che diventerà poi quello NORMALE, DIFFUSO, SOCIALMENTE VINCOLANTE. E QUESTA COSTRUZIONE SI GENERA DAL BASSO, PER UNA FORMA DI CREATIVITA' SPONTANEA DEL POPOLO, NON E' DETTATA DALL'ALTO O IMPOSTA DAI MEDIA. Se questo è vero, e se il brulicare in questione è un fenomeno del tutto spontaneo nonché inevitabile, la grande sfida del futuro sarà quella di renderlo un PROCESSO COSCIENTE ED INTENZIONALE, per quanto riguarda la sfera politica, e diffondere quanto più possibile il valore della elaborazione collettiva e mirata di ideologie ed orientamenti politici: il valore in questione diventerà così sempre di più una prassi di comportamento sociale partecipato, ed un vettore potente che premerà sulla classe politica e sulle sue scelte.
Ed ora, con un ultimo piccolo sforzo concettuale, si neutralizza la critica che è contenuta nel garbatissimo commento riferito all'inizio di questo post. L'apparente contraddizione fra un “determinismo” che promana dall'alto sulla vita individuale, per opera delle scelte dei politici, ed un altro “determinismo” che promana dal basso, dalla vita degli individui sulle decisioni della classe politica, è una contraddizione che non sussiste. In sintesi estrema, e semplificando, potremmo dire: L'individuo che vive in una società “democratica”, come singolo ha una vita determinata dalle scelte dei politici, mentre come membro di un collettivo, spesso determina queste scelte. Non dobbiamo dimenticare infatti un'altra stupenda lezione della psicologia sociale: LA CONOSCENZA SI GENERA ALIVELLO SOCIALE, NON A LIVELLO INDIVIDUALE. Anche l'orientamento di pensiero più originale, innovativo e inizialmente non condiviso, è farina del sacco della società prima che di quello di un individuo.
(Continua)
Ricevo ancora in privato (i più intelligenti e sensibili dei miei interlocutori hanno capito che “VIVA I BIDELLI” non è più un forum ma è divenuto un blog, e tale vuole rimanere):
“"D'accordo, *in un certo senso* tutto è politica, ovvero la vita di tutti noi, in ogni suo momento e in ogni sua dimensione, è determinata da scelte politiche che la sovrastano. Ma questo non significa che dobbiamo o possiamo essere noi a compiere quelle scelte."
Mi sembra che dimentichi un aspetto importante, e che in qualche modo osteggia il tuo ragionamento: la vita di tutti noi non solo è condizionata da scelte politiche, ma a sua volta, in piccola ma significativa misura, le condiziona.
Ogni acquisto che facciamo determina le strategie commerciali: tendiamo a dimenticarci che non è l'offerta che determina la domanda ma il contrario. Stanno sorgendo, ad esempio, molti negozi che offrono prodotti biologici e vegani perché si sta diffondendo una nuova cultura ecologica e alimentare. Anche l'attenzione al rispetto dei lavoratori nei processi produttivi, o a quello degli animali, sono tematiche che influenzano, come mai prima, gli stessi processi produttivi e commerciali e, a fini come questo, il contributo del singolo ha valore e importanza, nell'azione (acquisti consapevoli, buone pratiche di smaltimento rifiuti o di risparmio di energia, eccetera), nell'esempio e nella discussione (agevolata dai social network).
Come ben capisci, il discorso può essere facilmente traslato da un piano rigidamente commerciale a quello politico: l'offerta di orientamenti e strumenti di governo sarà correlata alla richiesta”.
E' un bellissimo contributo, che anticipa e facilita il prosieguo della trattazione del nostro tema.
Vi è certamente un rapporto di interazione e di interdipendenza, fra le elaborazioni mentali nonché i comportamenti, di coloro che compongono la “società civile”, e le scelte politiche che qui-ed-ora vengono operate dagli addetti alla politica (o “classe politica”, come li chiama Gaetano Mosca). Sostenevo nel post precedente che, perduta l'illusione di poter guidare la macchina senza avere né la patente né le capacità di guida, resterà un ampio terreno di “democrazia di fondo” dove si potranno coltivare le idee-guida, le ideologie che impregneranno di sé un po' alla volta l'intera società, e finiranno per condizionare o determinare anche le scelte dei politici. Perché pure la dittatura più sfrontata e prepotente ama essere popolare, fare quello che il popolo richiede o apprezza. Mi viene alla mente a questo punto il grande travaglio che caratterizzò la psicologia sociale alcuni decenni or sono, nel tentativo di comprendere e spiegare quel fenomeno chiamato “rappresentazioni sociali” . Gli studiosi impegnati in questo titanico tentativo, sulle orme di Serge Moscovici, presero atto che nella società vi sono delle ondate o maree montanti di pensiero collettivo (per esempio, in un tempo ormai remoto “tutti”, anche al bar o sugli autobus, parlavano di psicoanalisi; in un tempo più recente, di astrologia; più recentemente ancora, di AIDS... ) e tentarono di spiegare il fenomeno in questione. Uno dei primi risultati del loro sforzo interpretativo, fu quello di appurare che gli esseri umani costruiscono le ideologie dal basso, in una costante interazione comunicativa fra loro, fatta di momenti semplici e banali, come un viaggio in autobus o una passeggiata per strada fra due persone: siamo come tante formiche che in piena umiltà ed inconsapevolezza, anziché costruire un formicaio, costruiscono una intelaiatura culturale ed un contenuto di pensiero, che diventerà poi quello NORMALE, DIFFUSO, SOCIALMENTE VINCOLANTE. E QUESTA COSTRUZIONE SI GENERA DAL BASSO, PER UNA FORMA DI CREATIVITA' SPONTANEA DEL POPOLO, NON E' DETTATA DALL'ALTO O IMPOSTA DAI MEDIA. Se questo è vero, e se il brulicare in questione è un fenomeno del tutto spontaneo nonché inevitabile, la grande sfida del futuro sarà quella di renderlo un PROCESSO COSCIENTE ED INTENZIONALE, per quanto riguarda la sfera politica, e diffondere quanto più possibile il valore della elaborazione collettiva e mirata di ideologie ed orientamenti politici: il valore in questione diventerà così sempre di più una prassi di comportamento sociale partecipato, ed un vettore potente che premerà sulla classe politica e sulle sue scelte.
Ed ora, con un ultimo piccolo sforzo concettuale, si neutralizza la critica che è contenuta nel garbatissimo commento riferito all'inizio di questo post. L'apparente contraddizione fra un “determinismo” che promana dall'alto sulla vita individuale, per opera delle scelte dei politici, ed un altro “determinismo” che promana dal basso, dalla vita degli individui sulle decisioni della classe politica, è una contraddizione che non sussiste. In sintesi estrema, e semplificando, potremmo dire: L'individuo che vive in una società “democratica”, come singolo ha una vita determinata dalle scelte dei politici, mentre come membro di un collettivo, spesso determina queste scelte. Non dobbiamo dimenticare infatti un'altra stupenda lezione della psicologia sociale: LA CONOSCENZA SI GENERA ALIVELLO SOCIALE, NON A LIVELLO INDIVIDUALE. Anche l'orientamento di pensiero più originale, innovativo e inizialmente non condiviso, è farina del sacco della società prima che di quello di un individuo.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
E' avvenuta pochi giorni fa la “tragedia” tanto temuta e osteggiata da Marco Travaglio (si veda il link a lui dedicato nel primo post di questa catena), ovvero l'approvazione della nuova legge elettorale detta “ITALICUM”, dal testo assai poco democratico; è avvenuta quasi senza colpo ferire, a colpi di maggioranza parlamentare e voto di fiducia. Una procedura politica indecente, sotto il profilo della “democrazia”. A questi contenuti e metodi indecenti per i veri democratici, l'opinione pubblica si è forse ribellata? No. Non ne è rimasta neppure turbata. Verrebbe da commentare allora che in questo sofferto elaborato siamo stati fin troppo cauti: la democrazia appare FINITA come istanza popolare, se mai ha avuto un credito nel sentire comune e nelle rappresentazioni sociali del nostro popolo. Certo, se si facesse un sondaggio d'opinione e venisse interrogato un campione ampio e rappresentativo dell'intera società italiana, sul quesito “DEMOCRAZIA Sì O NO?” (= la vuoi o non la vuoi), la vittoria del “Sì” sarebbe schiacciante, ma solo per un equivoco: LA GENTE CONFONDE LA DEMOCRAZIA CON LA LIBERTÀ. E soprattutto con la libertà di pensiero. Come ho accennato all'inizio del presente topic, le due istanze si accavallano e si fondono, dalla fine delle grandi dittature in Europa ad oggi. E' del tutto normale, nonché auspicabile, che gli individui non vogliano perdere la libertà di manifestare senza censure né pericoli, la propria soggettività, ovvero opinioni, gusti, emozioni e sentimenti: come sostiene A.Lowen, il bisogno di esprimersi liberamente è quasi un bisogno primario per l'uomo, tiene dietro solo di poco ad istanze fondamentali come la nutrizione e l'istinto riproduttivo. Ma il bisogno di democrazia, ammesso che esista, è ben altra cosa, è una spinta diversa e meno forte della tendenza alla libera espressione. Ne è prova il fatto che proprio mentre la “democrazia” si involve ed accenna a scomparire, l'espressione della soggettività dei cittadini conosce un boom mai visto prima, tramite il web.
Azzardo ancora una previsione: il gigantesco travaglio collettivo da me prefigurato in questo topic, quel movimento di pensiero che partorirà una nuova narrazione della realtà sociale e politica, dovrà affrontare innanzitutto una questione discriminante, dovrà risolvere il seguente dilemma: se dobbiamo accontentarci di esprimere le nostre idee alla luce del sole (e di influenzare così le scelte di governo), consapevoli che la democrazia decisionale, rappresentativa della volontà popolare, è stata una mistificazione; se invece non vogliamo rassegnarci a non essere detentori del potere politico. In tal caso dobbiamo tentare forme inedite di “democrazia”, visto che quelle precedenti sono state un inganno. Se questo nodo venisse sciolto nel secondo dei due modi possibili, ovvero secondo il criterio partecipativo, io credo che solo il pensiero di Gianroberto Casaleggio, al quale prossimamente dedicheremo la nostra attenzione, potrebbe diventare l'ideologia dei tempi nuovi.
(Continua)
E' avvenuta pochi giorni fa la “tragedia” tanto temuta e osteggiata da Marco Travaglio (si veda il link a lui dedicato nel primo post di questa catena), ovvero l'approvazione della nuova legge elettorale detta “ITALICUM”, dal testo assai poco democratico; è avvenuta quasi senza colpo ferire, a colpi di maggioranza parlamentare e voto di fiducia. Una procedura politica indecente, sotto il profilo della “democrazia”. A questi contenuti e metodi indecenti per i veri democratici, l'opinione pubblica si è forse ribellata? No. Non ne è rimasta neppure turbata. Verrebbe da commentare allora che in questo sofferto elaborato siamo stati fin troppo cauti: la democrazia appare FINITA come istanza popolare, se mai ha avuto un credito nel sentire comune e nelle rappresentazioni sociali del nostro popolo. Certo, se si facesse un sondaggio d'opinione e venisse interrogato un campione ampio e rappresentativo dell'intera società italiana, sul quesito “DEMOCRAZIA Sì O NO?” (= la vuoi o non la vuoi), la vittoria del “Sì” sarebbe schiacciante, ma solo per un equivoco: LA GENTE CONFONDE LA DEMOCRAZIA CON LA LIBERTÀ. E soprattutto con la libertà di pensiero. Come ho accennato all'inizio del presente topic, le due istanze si accavallano e si fondono, dalla fine delle grandi dittature in Europa ad oggi. E' del tutto normale, nonché auspicabile, che gli individui non vogliano perdere la libertà di manifestare senza censure né pericoli, la propria soggettività, ovvero opinioni, gusti, emozioni e sentimenti: come sostiene A.Lowen, il bisogno di esprimersi liberamente è quasi un bisogno primario per l'uomo, tiene dietro solo di poco ad istanze fondamentali come la nutrizione e l'istinto riproduttivo. Ma il bisogno di democrazia, ammesso che esista, è ben altra cosa, è una spinta diversa e meno forte della tendenza alla libera espressione. Ne è prova il fatto che proprio mentre la “democrazia” si involve ed accenna a scomparire, l'espressione della soggettività dei cittadini conosce un boom mai visto prima, tramite il web.
Azzardo ancora una previsione: il gigantesco travaglio collettivo da me prefigurato in questo topic, quel movimento di pensiero che partorirà una nuova narrazione della realtà sociale e politica, dovrà affrontare innanzitutto una questione discriminante, dovrà risolvere il seguente dilemma: se dobbiamo accontentarci di esprimere le nostre idee alla luce del sole (e di influenzare così le scelte di governo), consapevoli che la democrazia decisionale, rappresentativa della volontà popolare, è stata una mistificazione; se invece non vogliamo rassegnarci a non essere detentori del potere politico. In tal caso dobbiamo tentare forme inedite di “democrazia”, visto che quelle precedenti sono state un inganno. Se questo nodo venisse sciolto nel secondo dei due modi possibili, ovvero secondo il criterio partecipativo, io credo che solo il pensiero di Gianroberto Casaleggio, al quale prossimamente dedicheremo la nostra attenzione, potrebbe diventare l'ideologia dei tempi nuovi.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
I recenti avvenimenti di Grecia, per i quali abbiamo palpitato (si veda, in questo forum, il nostro trafiletto https://vivaibidelli.forumattivo.com/t616-referendum-greco-la-nostra-previsione ) impongono che si apra una parentesi ad essi dedicata, interrompendo così il filo conduttore; pena apparire degli accademici privi di vita, dei cultori del futuribile astratti dal presente.
Il vocabolo ed il concetto “DEMOCRAZIA” sono stati la parola d'ordine ed il baluardo culturale ed argomentativo, per resistere allo strapotere della TROIKA e delle istituzioni europee attuali. Noi che ci siamo uniti idealmente alle forze della resistenza greca, abbiamo fatto non poca fatica ad astenerci dal rivendicare, dal reclamare la DEMOCRAZIA come diritto minacciato per quel popolo. Non ci siamo uniti al coro che scandiva “DEMOCRAZIA”, ma avremmo potuto farlo; ci eravamo infatti riservati il diritto a questa contraddizione (si veda tre post più sopra). Ad ogni buon conto, ci è apparso chiaro ogni momento, grazie alle riflessioni qui condotte, che non è per niente necessario ricorrere ad una chimera, sprecare una utopia, per difendere lo stato sociale, la giustizia, i diritti ed il benessere minimo della povera gente. Verrà il giorno in cui, per difendere il popolo in una crisi analoga a quella greca attuale, lo slogan non sarà più “DEMOCRAZIA”, ma “CAZZI NOSTRI”, o più politicamente “PANE E DIRITTI”, o più edonisticamente “PENSIONAMENTO ANTICIPATO, REDDITO DI CITTADINANZA, QUALITA' DELLA VITA PER TUTTI".
La recente crisi greca costituisce un bel paradosso a sostegno della nostra tesi: Tsipras, al quale per ME è difficile non volere bene (anche se non ho condiviso il suo operato) ha invocato di continuo la DEMOCRAZIA come antidoto allo strapotere degli organi finanziari e politici europei ed internazionali, e con orgoglio ha ricordato-rivendicato che la democrazia nacque proprio in Grecia, ed ha compiuto inoltre il passo coraggioso di una consultazione popolare che è stata come un schiaffo all'oligarchia dell'eurozona; ma... è oggi del tutto evidente che ha usato la democrazia come argomento e come strumento, senza affatto crederci.
Infatti:
1) convoca un referendum su di un quesito che non è più attuale al momento del voto;
2) questo quesito non è tecnicamente comprensibile alla gran parte dei votanti;
3) nel prosieguo delle trattative non rispetta lo spirito della decisione popolare emersa dal referendum
4) tenta di nascosto al popolo, per il bene del popolo, di farsi concedere ingenti prestiti da Putin;
5) garantisce al popolo, prima del referendum, che la Grecia non uscirà dall'euro, qualora prevalga il NO, mentre questa era la conseguenza più probabile, se si fosse stati coerenti con quel NO.
Si potrebbe forse continuare, ma credo che bastino le enunciazioni sopra elencate per concludere che Tsipras non è affatto un democratico (ed in questo lo stimiamo) ma un buon papà che cerca di difendere, di salvare il suo figlioletto (il popolo) anche da se stesso. Alcuni obietteranno che, se Tsipras ha difettato come campione della democrazia, non altrettanto ha fatto Varoufakis, che esce in modo più limpido dalle dure prove recenti. Ragazzi, questa è una obiezione non razionale, basata sul sentimento. Anche noi “bidelli” amiamo Varoufakis, lo preferiamo a Tsipras, ma riteniamo che anche lui bari, quando si definisce fondamentalmente democratico ed interprete della causa della democrazia. Varoufakis di sicuro è stato più coerente e più coraggioso, ma semplicemente voleva giocare la partita a poker con un bluff nel momento decisivo, per strappare un accordo più vantaggioso con i creditori. A portare fino in fondo, fino alla rottura, la volontà orgogliosa di autonomia manifestata dal popolo greco, non ha mai puntato. Si veda l'intervista: https://esseresinistra.wordpress.com/2015/07/15/yanis-varoufakis-la-nostra-battaglia-per-salvare-la-grecia/
E, come prova del nove, Varoufakis non ha lesinato la critica a Tsipras, ma la ha incentrata esclusivamente sul “metodo”. Invece sul “merito”, ovvero la non democraticità del premier, quale emerge dalle 5 considerazioni elencate più sopra, Varoufakis ha taciuto. Perché è cosciente, come Tsipras, della INOPPORTUNITA' DELLA DEMOCRAZIA.
Infatti, a voler fare un referendum come quell'ingenuo del nostro Beppe Grillo, sull'uscita dall'euro, “Varu” non ci pensa nemmeno.
La crisi greca costituisce un paradosso che avvalora la nostra tesi, si diceva più sopra. Per completare questo paradosso, questa dimostrazione per assurdo, rimane da aggiungere un dato “a posteriori”: dopo i comportamenti politici di Tsipras che hanno apertamente contraddetto il credo democratico da lui professato, la popolarità del premier appare in crescita impressionante, il capo del governo “vola” nei sondaggi da poco effettuati in Grecia.
A questo punto una domanda si impone: LA DEMOCRAZIA E' UN IDEALE SERIO?
(Continua)
I recenti avvenimenti di Grecia, per i quali abbiamo palpitato (si veda, in questo forum, il nostro trafiletto https://vivaibidelli.forumattivo.com/t616-referendum-greco-la-nostra-previsione ) impongono che si apra una parentesi ad essi dedicata, interrompendo così il filo conduttore; pena apparire degli accademici privi di vita, dei cultori del futuribile astratti dal presente.
Il vocabolo ed il concetto “DEMOCRAZIA” sono stati la parola d'ordine ed il baluardo culturale ed argomentativo, per resistere allo strapotere della TROIKA e delle istituzioni europee attuali. Noi che ci siamo uniti idealmente alle forze della resistenza greca, abbiamo fatto non poca fatica ad astenerci dal rivendicare, dal reclamare la DEMOCRAZIA come diritto minacciato per quel popolo. Non ci siamo uniti al coro che scandiva “DEMOCRAZIA”, ma avremmo potuto farlo; ci eravamo infatti riservati il diritto a questa contraddizione (si veda tre post più sopra). Ad ogni buon conto, ci è apparso chiaro ogni momento, grazie alle riflessioni qui condotte, che non è per niente necessario ricorrere ad una chimera, sprecare una utopia, per difendere lo stato sociale, la giustizia, i diritti ed il benessere minimo della povera gente. Verrà il giorno in cui, per difendere il popolo in una crisi analoga a quella greca attuale, lo slogan non sarà più “DEMOCRAZIA”, ma “CAZZI NOSTRI”, o più politicamente “PANE E DIRITTI”, o più edonisticamente “PENSIONAMENTO ANTICIPATO, REDDITO DI CITTADINANZA, QUALITA' DELLA VITA PER TUTTI".
La recente crisi greca costituisce un bel paradosso a sostegno della nostra tesi: Tsipras, al quale per ME è difficile non volere bene (anche se non ho condiviso il suo operato) ha invocato di continuo la DEMOCRAZIA come antidoto allo strapotere degli organi finanziari e politici europei ed internazionali, e con orgoglio ha ricordato-rivendicato che la democrazia nacque proprio in Grecia, ed ha compiuto inoltre il passo coraggioso di una consultazione popolare che è stata come un schiaffo all'oligarchia dell'eurozona; ma... è oggi del tutto evidente che ha usato la democrazia come argomento e come strumento, senza affatto crederci.
Infatti:
1) convoca un referendum su di un quesito che non è più attuale al momento del voto;
2) questo quesito non è tecnicamente comprensibile alla gran parte dei votanti;
3) nel prosieguo delle trattative non rispetta lo spirito della decisione popolare emersa dal referendum
4) tenta di nascosto al popolo, per il bene del popolo, di farsi concedere ingenti prestiti da Putin;
5) garantisce al popolo, prima del referendum, che la Grecia non uscirà dall'euro, qualora prevalga il NO, mentre questa era la conseguenza più probabile, se si fosse stati coerenti con quel NO.
Si potrebbe forse continuare, ma credo che bastino le enunciazioni sopra elencate per concludere che Tsipras non è affatto un democratico (ed in questo lo stimiamo) ma un buon papà che cerca di difendere, di salvare il suo figlioletto (il popolo) anche da se stesso. Alcuni obietteranno che, se Tsipras ha difettato come campione della democrazia, non altrettanto ha fatto Varoufakis, che esce in modo più limpido dalle dure prove recenti. Ragazzi, questa è una obiezione non razionale, basata sul sentimento. Anche noi “bidelli” amiamo Varoufakis, lo preferiamo a Tsipras, ma riteniamo che anche lui bari, quando si definisce fondamentalmente democratico ed interprete della causa della democrazia. Varoufakis di sicuro è stato più coerente e più coraggioso, ma semplicemente voleva giocare la partita a poker con un bluff nel momento decisivo, per strappare un accordo più vantaggioso con i creditori. A portare fino in fondo, fino alla rottura, la volontà orgogliosa di autonomia manifestata dal popolo greco, non ha mai puntato. Si veda l'intervista: https://esseresinistra.wordpress.com/2015/07/15/yanis-varoufakis-la-nostra-battaglia-per-salvare-la-grecia/
E, come prova del nove, Varoufakis non ha lesinato la critica a Tsipras, ma la ha incentrata esclusivamente sul “metodo”. Invece sul “merito”, ovvero la non democraticità del premier, quale emerge dalle 5 considerazioni elencate più sopra, Varoufakis ha taciuto. Perché è cosciente, come Tsipras, della INOPPORTUNITA' DELLA DEMOCRAZIA.
Infatti, a voler fare un referendum come quell'ingenuo del nostro Beppe Grillo, sull'uscita dall'euro, “Varu” non ci pensa nemmeno.
La crisi greca costituisce un paradosso che avvalora la nostra tesi, si diceva più sopra. Per completare questo paradosso, questa dimostrazione per assurdo, rimane da aggiungere un dato “a posteriori”: dopo i comportamenti politici di Tsipras che hanno apertamente contraddetto il credo democratico da lui professato, la popolarità del premier appare in crescita impressionante, il capo del governo “vola” nei sondaggi da poco effettuati in Grecia.
A questo punto una domanda si impone: LA DEMOCRAZIA E' UN IDEALE SERIO?
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Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Riprendiamo il filo. Si era promessa una valutazione della “democrazia secondo Gianroberto Casaleggio”, ed ogni promessa è un debito. Di Casaleggio non ho letto i libri e non ho nemmeno intenzione di farlo: mi è bastato leggere una sua antica (2013) intervista al “Corriere della Sera” ( http://lettura.corriere.it/la-democrazia-va-rifondata/ ) ed un suo più recente articolo nel blog di Beppe Grillo: http://www.beppegrillo.it/2015/05/magic_town_e_i_sondaggi.html .
Nel primo dei due scritti, Casaleggio prefigura un “mondo nuovo”, che sarà possibile in Italia dopo una riforma costituzionale (- “lei ha sostenuto che la politica del futuro sarà fatta dai cittadini senza intermediazione dei partiti. Un sistema di democrazia diretta implica modifiche sostanziali della Costituzione, quali?”
- «Le più immediate sono il referendum propositivo senza quorum, l’obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare, l’elezione diretta del candidato che deve essere residente nel collegio dove si presenta, l’abolizione del voto segreto, l’introduzione del vincolo di mandato. È necessario rivedere l’architettura costituzionale nel suo complesso in funzione della democrazia diretta»).
Attraverso la partecipazione costante dei cittadini, tramite internet, alla proposta e alla elaborazione delle leggi, sarà possibile infatti ridurre i parlamentari al semplice ruolo di “portavoce” delle decisioni prese in rete a maggioranza semplice (la maggioranza dei votanti- “cliccatori”); il Parlamento diventerà solo un luogo di ratifica e trasformazione in legge, di quello che i cittadini votanti-cliccanti hanno deciso in rete. Questi concetti sono sviluppati nel libro “Web ergo sum” e ripresi efficacemente nel secondo dei due scritti che ho linkato: “Il termine democrazia diretta descrive un nuovo rapporto tra i cittadini ed i loro rappresentanti, un’evoluzione del sistema democratico più che un suo superamento. La democrazia attuale opera sul principio di delega, non di partecipazione diretta: con il voto si esaurisce il rapporto degli elettori con i candidati e con le scelte che verranno da questi attuate.
Si vota senza essere informati, per abitudine, per simpatia. Provate (per credere) a chiedere ad un vostro conoscente il programma politico del partito per cui ha votato.
La Rete trasforma il rapporto tra cittadino e informazione consentendo l’accesso all’informazione in tempo reale su un qualsiasi fatto, ed il controllo sui processi attivati dal governo centrale o locale.
La democrazia diretta introduce la centralità del cittadino”;
Nel corso dell'intervista (v. primo link), Casaleggio sorvola su alcune difficoltà indicate dalla intervistatrice, ai fini di una vera democrazia, rappresentativa del volere popolare: il basso numero dei patiti e dei praticanti di internet, e quello ancora più basso dei patiti di politica (molti cittadini non hanno voglia, o capacità, o tempo, o energie per partecipare alle scelte politiche, e preferiscono delegare).
Stando a questa intervista, si chiamerebbe “democrazia” il potere legislativo (un potere “ERGA OMNES”, vale a dire su tutti) di una ridottissima minoranza di cultori del web e del metodo di votazioni “on line”, quel metodo che è stato lanciato dal Movimento5stelle per le sue consultazioni.
Per superare questa contraddizione, Casaleggio elabora il contenuto dell'articolo che abbiamo suggerito più in alto. In una efficace analogia, richiama una costruzione fantastica, “MAGIC TOWN”: “Esiste una cittadina dove l’opinione degli abitanti rappresenta quella dell’intero Paese? Un luogo magico dove è sufficiente chiedere ad un piccolo numero di persone chi vincerà le elezioni, o se un certo prodotto avrà successo, per saperlo con certezza?
Partendo da quest’idea... la sceneggiatura di “Magic Town”, film del 1947... ambientato a Grandview, un posto ideale in cui l’America è rappresentata in tutte le sue caratteristiche, un’immagine da cartolina degli Stati Uniti del melting pot.
... giornalista esperto di sondaggi... scopre negli abitanti di Grandview la scorciatoia per il successo.... si fa credere un assicuratore e, grazie a questo ruolo, acquisisce dai cittadini preziose informazioni sui temi più disparati. Il trucco funziona, i suoi sondaggi si dimostrano una fotografia perfetta del pensiero dell’americano medio. La fortuna... termina quando anche i media scoprono l’esistenza di Grandview, che diventa per tutti la capitale della pubblica opinione. I cittadini di Grandview, ormai consapevoli del loro ruolo, iniziano a documentarsi prima di rispondere alle domande. Passano il loro tempo in biblioteca. Riflettono a lungo prima di esprimere un giudizio e le loro opinioni cominciano a divergere a tal punto da quelle del resto del Paese da risultare totalmente inattendibili...”
Per fondare l'analogia di cui si diceva, è utile una premessa: “
…. docenti all’Università... hanno focalizzato i loro studi sul “deliberative polling”, che consiste nella discussione su un determinato tema da parte di un gruppo rappresentativo di persone che acquisisce in anticipo le informazioni necessarie per esprimere una valutazione.
Il “deliberative polling” può durare giorni o settimane. E’ simile alle giurie popolari che emettono un giudizio solo dopo aver ascoltato i testimoni, le arringhe dell’avvocato e del pubblico ministero. Secondo le parole di James Fiskin: “E' un modo per misurare cosa penserebbe il pubblico se fosse meglio informato”.
I risultati dei “deliberative polling” sono sorprendenti, grazie ad una maggiore conoscenza dell’argomento ed alla discussione con gli altri partecipanti, le risposte si discostano anche del 50% rispetto all’opinione iniziale.
Dalla fine del 2002, Fiskin ha effettuato il deliberative polling on line con ottimi risultati, consentendo di partecipare anche a persone con menomazioni fisiche o in condizioni sociali particolari.
I dibattiti e la condivisione delle informazioni sono avvenuti on line. Il costo del sondaggio si è molto ridotto rispetto agli incontri diretti, pur dovendo dotare in alcuni casi i partecipanti di un computer. Il campione rappresentativo è aumentato enormemente, in quanto ogni abitante del pianeta può essere accessibile via Rete”.
Ed ecco l'analogia con l'attività politica:
“Il deliberative polling on line è lo strumento nascente di una democrazia diffusa in grado di decidere, di essere informata sui fatti, di influenzare e dirigere il governo nelle sue azioni quotidiane. Il concetto di delega non avrà più significato...
...Nasceranno trasmissioni in cui un campione di persone analizzerà e discuterà un determinato argomento per alcune settimane ed il pubblico potrà esprimere la sua opinione, in diretta, attraverso Internet.
Magic Town (Città Magica) diventerà... una situazione normale e non fantastica. Una città della conoscenza”.
Avevo prefigurato una valutazione critica, e di critiche ne muoverò più d'una:
1) La comunità campione che si sottopone al “deliberative polling” per compiere scelte politiche, sarà sempre più simile alla “Magic Town”, atto secondo:
ovvero una comunità preparata, sui problemi di cui si deve occupare, e prudente nelle valutazioni: un gruppo di lavoro che si discosta proprio per questo dal resto della popolazione. Subirà quindi lo stesso destino di Magic Town: diventerà un campione inattendibile, per quanto riguarda l'orientamento e le intenzioni della comunità più grande, la società vera e propria, il Paese “reale”.
E' democrazia, andare scientemente contro l'intenzione della maggioranza dei cittadini, in virtù di leggi statistiche, secondo le quali la stessa maggioranza è per determinismo scientifico portatrice degli stessi semi di idee, semi che produrrebbero inevitabilmente le stesse piante (opinioni), se fossero ben coltivati e nutriti di informazione?
Ma non è meglio un tradizionale leader carismatico, che prenda per mano le masse reali anziché un campione da laboratorio scientifico, e le guidi con arte maieutica ed in modo omogeneo, a volere le identiche cose che le stesse masse vorrebbero, se fossero educate? Non è meglio dunque il modello tradizionale? Ma si rende conto Casaleggio che affidare le decisioni riguardanti la vita di tutti i cittadini, ad un campione dal quale ben pochi si ritengono rappresentati, crea un potenziale di rivolta popolare esplosivo, incontenibile, che chiede solo di essere fatto esplodere da un leader demagogo? Ma è così ingenuo Gianroberto da ritenere che la classe politica rimarrà inerme a perdere il potere, a farsi scalzare da lui e dai “tempi nuovi”?
(Continua)
Riprendiamo il filo. Si era promessa una valutazione della “democrazia secondo Gianroberto Casaleggio”, ed ogni promessa è un debito. Di Casaleggio non ho letto i libri e non ho nemmeno intenzione di farlo: mi è bastato leggere una sua antica (2013) intervista al “Corriere della Sera” ( http://lettura.corriere.it/la-democrazia-va-rifondata/ ) ed un suo più recente articolo nel blog di Beppe Grillo: http://www.beppegrillo.it/2015/05/magic_town_e_i_sondaggi.html .
Nel primo dei due scritti, Casaleggio prefigura un “mondo nuovo”, che sarà possibile in Italia dopo una riforma costituzionale (- “lei ha sostenuto che la politica del futuro sarà fatta dai cittadini senza intermediazione dei partiti. Un sistema di democrazia diretta implica modifiche sostanziali della Costituzione, quali?”
- «Le più immediate sono il referendum propositivo senza quorum, l’obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare, l’elezione diretta del candidato che deve essere residente nel collegio dove si presenta, l’abolizione del voto segreto, l’introduzione del vincolo di mandato. È necessario rivedere l’architettura costituzionale nel suo complesso in funzione della democrazia diretta»).
Attraverso la partecipazione costante dei cittadini, tramite internet, alla proposta e alla elaborazione delle leggi, sarà possibile infatti ridurre i parlamentari al semplice ruolo di “portavoce” delle decisioni prese in rete a maggioranza semplice (la maggioranza dei votanti- “cliccatori”); il Parlamento diventerà solo un luogo di ratifica e trasformazione in legge, di quello che i cittadini votanti-cliccanti hanno deciso in rete. Questi concetti sono sviluppati nel libro “Web ergo sum” e ripresi efficacemente nel secondo dei due scritti che ho linkato: “Il termine democrazia diretta descrive un nuovo rapporto tra i cittadini ed i loro rappresentanti, un’evoluzione del sistema democratico più che un suo superamento. La democrazia attuale opera sul principio di delega, non di partecipazione diretta: con il voto si esaurisce il rapporto degli elettori con i candidati e con le scelte che verranno da questi attuate.
Si vota senza essere informati, per abitudine, per simpatia. Provate (per credere) a chiedere ad un vostro conoscente il programma politico del partito per cui ha votato.
La Rete trasforma il rapporto tra cittadino e informazione consentendo l’accesso all’informazione in tempo reale su un qualsiasi fatto, ed il controllo sui processi attivati dal governo centrale o locale.
La democrazia diretta introduce la centralità del cittadino”;
Nel corso dell'intervista (v. primo link), Casaleggio sorvola su alcune difficoltà indicate dalla intervistatrice, ai fini di una vera democrazia, rappresentativa del volere popolare: il basso numero dei patiti e dei praticanti di internet, e quello ancora più basso dei patiti di politica (molti cittadini non hanno voglia, o capacità, o tempo, o energie per partecipare alle scelte politiche, e preferiscono delegare).
Stando a questa intervista, si chiamerebbe “democrazia” il potere legislativo (un potere “ERGA OMNES”, vale a dire su tutti) di una ridottissima minoranza di cultori del web e del metodo di votazioni “on line”, quel metodo che è stato lanciato dal Movimento5stelle per le sue consultazioni.
Per superare questa contraddizione, Casaleggio elabora il contenuto dell'articolo che abbiamo suggerito più in alto. In una efficace analogia, richiama una costruzione fantastica, “MAGIC TOWN”: “Esiste una cittadina dove l’opinione degli abitanti rappresenta quella dell’intero Paese? Un luogo magico dove è sufficiente chiedere ad un piccolo numero di persone chi vincerà le elezioni, o se un certo prodotto avrà successo, per saperlo con certezza?
Partendo da quest’idea... la sceneggiatura di “Magic Town”, film del 1947... ambientato a Grandview, un posto ideale in cui l’America è rappresentata in tutte le sue caratteristiche, un’immagine da cartolina degli Stati Uniti del melting pot.
... giornalista esperto di sondaggi... scopre negli abitanti di Grandview la scorciatoia per il successo.... si fa credere un assicuratore e, grazie a questo ruolo, acquisisce dai cittadini preziose informazioni sui temi più disparati. Il trucco funziona, i suoi sondaggi si dimostrano una fotografia perfetta del pensiero dell’americano medio. La fortuna... termina quando anche i media scoprono l’esistenza di Grandview, che diventa per tutti la capitale della pubblica opinione. I cittadini di Grandview, ormai consapevoli del loro ruolo, iniziano a documentarsi prima di rispondere alle domande. Passano il loro tempo in biblioteca. Riflettono a lungo prima di esprimere un giudizio e le loro opinioni cominciano a divergere a tal punto da quelle del resto del Paese da risultare totalmente inattendibili...”
Per fondare l'analogia di cui si diceva, è utile una premessa: “
…. docenti all’Università... hanno focalizzato i loro studi sul “deliberative polling”, che consiste nella discussione su un determinato tema da parte di un gruppo rappresentativo di persone che acquisisce in anticipo le informazioni necessarie per esprimere una valutazione.
Il “deliberative polling” può durare giorni o settimane. E’ simile alle giurie popolari che emettono un giudizio solo dopo aver ascoltato i testimoni, le arringhe dell’avvocato e del pubblico ministero. Secondo le parole di James Fiskin: “E' un modo per misurare cosa penserebbe il pubblico se fosse meglio informato”.
I risultati dei “deliberative polling” sono sorprendenti, grazie ad una maggiore conoscenza dell’argomento ed alla discussione con gli altri partecipanti, le risposte si discostano anche del 50% rispetto all’opinione iniziale.
Dalla fine del 2002, Fiskin ha effettuato il deliberative polling on line con ottimi risultati, consentendo di partecipare anche a persone con menomazioni fisiche o in condizioni sociali particolari.
I dibattiti e la condivisione delle informazioni sono avvenuti on line. Il costo del sondaggio si è molto ridotto rispetto agli incontri diretti, pur dovendo dotare in alcuni casi i partecipanti di un computer. Il campione rappresentativo è aumentato enormemente, in quanto ogni abitante del pianeta può essere accessibile via Rete”.
Ed ecco l'analogia con l'attività politica:
“Il deliberative polling on line è lo strumento nascente di una democrazia diffusa in grado di decidere, di essere informata sui fatti, di influenzare e dirigere il governo nelle sue azioni quotidiane. Il concetto di delega non avrà più significato...
...Nasceranno trasmissioni in cui un campione di persone analizzerà e discuterà un determinato argomento per alcune settimane ed il pubblico potrà esprimere la sua opinione, in diretta, attraverso Internet.
Magic Town (Città Magica) diventerà... una situazione normale e non fantastica. Una città della conoscenza”.
Avevo prefigurato una valutazione critica, e di critiche ne muoverò più d'una:
1) La comunità campione che si sottopone al “deliberative polling” per compiere scelte politiche, sarà sempre più simile alla “Magic Town”, atto secondo:
ovvero una comunità preparata, sui problemi di cui si deve occupare, e prudente nelle valutazioni: un gruppo di lavoro che si discosta proprio per questo dal resto della popolazione. Subirà quindi lo stesso destino di Magic Town: diventerà un campione inattendibile, per quanto riguarda l'orientamento e le intenzioni della comunità più grande, la società vera e propria, il Paese “reale”.
E' democrazia, andare scientemente contro l'intenzione della maggioranza dei cittadini, in virtù di leggi statistiche, secondo le quali la stessa maggioranza è per determinismo scientifico portatrice degli stessi semi di idee, semi che produrrebbero inevitabilmente le stesse piante (opinioni), se fossero ben coltivati e nutriti di informazione?
Ma non è meglio un tradizionale leader carismatico, che prenda per mano le masse reali anziché un campione da laboratorio scientifico, e le guidi con arte maieutica ed in modo omogeneo, a volere le identiche cose che le stesse masse vorrebbero, se fossero educate? Non è meglio dunque il modello tradizionale? Ma si rende conto Casaleggio che affidare le decisioni riguardanti la vita di tutti i cittadini, ad un campione dal quale ben pochi si ritengono rappresentati, crea un potenziale di rivolta popolare esplosivo, incontenibile, che chiede solo di essere fatto esplodere da un leader demagogo? Ma è così ingenuo Gianroberto da ritenere che la classe politica rimarrà inerme a perdere il potere, a farsi scalzare da lui e dai “tempi nuovi”?
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
2) la seconda critica al pensiero politico di Gianroberto Casaleggio richiede un minimo sforzo di immaginazione: dobbiamo concepire una civiltà futura da fantascienza, ovvero quello stesso mondo che il nostro autore sogna, quel mondo che lui a tratti si figura possibile per tenersi carico, e per alimentare la propria attività onirico-politica. Immaginiamo dunque che tutta l'Italia, o almeno la maggioranza schiacciante degli italiani, si sia convertita alla democrazia “on line” e la voglia praticare; immaginiamo pure che il Movimento 5 Stelle abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi alle elezioni, e decida di risolvere tutta l'attività politica in questa metodologia nuova, anziché nella saggezza e concretezza di Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e tanti altri dirigenti illuminati emergenti. Tutti i cittadini useranno il computer per diverse ore alla settimana, per contribuire alla genesi delle leggi e delle delibere politiche. Sarà un continuo ping-pong stimolo-risposta, con tutta Italia che gioca con tutta Italia. I risultati di questo sforzo di “pensiero” collettivo saranno messi ai voti tramite internet, e se otterranno la maggioranza semplice dei suffragi, diventeranno le regole del nostro vivere. Sarà molto facile divenire legislatori, per tutti noi cittadini: se una opzione mi piace, se mi convince, faccio subito “CLICK”.
Sarà facilissimo legiferare, ma... sono le difficoltà, che aguzzano l'ingegno (ci ricorda il Manzoni)! Quando sarò rapito da una rappresentazione che mi affascina, o respinto da una che mi disgusta, resisterò alla tentazione, alla pulsione di fare immediatamente “CLICK”? Va valutato inoltre che le questioni da decidere saranno una infinità, da quelle di carattere nazionale a quelle inerenti la vita delle comunità locali, e se perderai troppo tempo per riflettere su qualcuna, trascurerai le altre. Si imporrà oltretutto una nuova norma etica, socialmente condivisa (come quella che ci ha convinti finora della sacralità e della ineluttabilità della democrazia), un dover-essere collettivo per cui ogni cittadino perbene dovrà dare il proprio contributo ad ogni decisione, pena non poter più criticare la norma consacrata dal voto degli altri, avendone perso il diritto morale. La vita individuale ne sarà massacrata, la vita sarà massacrata.
Nella psicologia come scienza, lo studio dei processi creativi è ancora una zona d'ombra, illuminata dagli sforzi di alcuni pionieri. E' tuttavia già accertata una legge, secondo la quale una concezione innovativa deve fare una lunga anticamera nell'apparato pre-logico della mente, prima di imporsi alla coscienza e poter trasformare la precedente organizzazione cognitiva dei dati. Questo valse per la teoria della relatività, come vale per tutti noi che non siamo Einstein. Vale anche per me, che ci ho messo una vita quasi intera, per superare l'ideale democratico. Il pensiero ha tutt'altre regole ed esigenze che una partita di ping-pong.
Il risultato del gigantesco “ping-pong legislativo stimolo-risposta made in Casaleggio” sarà dunque quello di impedire il pensiero creativo, l'innovazione, e ridurre enormemente le possibilità di riflessione. Per come io sono fatto, faccio già fatica ad accettare in forma parziale queste limitazioni nel mondo attuale, non so se riuscirei vivere in una dittatura della pancia sulla mente. Se uccidiamo del tutto la creatività, se togliamo l'innovazione, il mondo perde il suo sale e la vita non vale più la pena di essere vissuta. E nel senso del benessere materiale collettivo, le soluzioni migliori ai problemi si trovano quando vi è una piccola minoranza di geni-genietti-geniacci, lasciati liberi di arrovellarsi mentalmente per partorire qualcosa di nuovo nell'interesse di tutti. La conoscenza si genera a livello sociale, si è detto più sopra, non si genera a livello individuale; ma si genera per punte di diamante, per fughe in avanti di pionieri che raccolgono i fermenti collettivi che la loro epoca ha prodotto, e li portano a maturazione terminale sotto forma di idee, idee che gli stessi pionieri del pensiero concatenano in una visione della realtà nuova, la quale dà un nuovo centro e una diversa angolatura prospettica alla configurazione percettiva-cognitiva precedente. Senza questa dialettica, tra il grande gruppo che si muove lungo le linee determinate dalla Storia, e un esiguo drappello di testa che fugge in avanti, tutto chiuso in se stesso e concentrato nel proprio sforzo, per poi farsi raggiungere; senza questa dinamica, il progresso dell'umanità non c'è oppure è molto più lento ed accidentale. E se fosse anche soltanto un progresso più lento, significherebbe tanto bene in meno per l'umanità, tanto benessere in meno, tanta sofferenza e tanti morti in più.
(Continua)
2) la seconda critica al pensiero politico di Gianroberto Casaleggio richiede un minimo sforzo di immaginazione: dobbiamo concepire una civiltà futura da fantascienza, ovvero quello stesso mondo che il nostro autore sogna, quel mondo che lui a tratti si figura possibile per tenersi carico, e per alimentare la propria attività onirico-politica. Immaginiamo dunque che tutta l'Italia, o almeno la maggioranza schiacciante degli italiani, si sia convertita alla democrazia “on line” e la voglia praticare; immaginiamo pure che il Movimento 5 Stelle abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi alle elezioni, e decida di risolvere tutta l'attività politica in questa metodologia nuova, anziché nella saggezza e concretezza di Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e tanti altri dirigenti illuminati emergenti. Tutti i cittadini useranno il computer per diverse ore alla settimana, per contribuire alla genesi delle leggi e delle delibere politiche. Sarà un continuo ping-pong stimolo-risposta, con tutta Italia che gioca con tutta Italia. I risultati di questo sforzo di “pensiero” collettivo saranno messi ai voti tramite internet, e se otterranno la maggioranza semplice dei suffragi, diventeranno le regole del nostro vivere. Sarà molto facile divenire legislatori, per tutti noi cittadini: se una opzione mi piace, se mi convince, faccio subito “CLICK”.
Sarà facilissimo legiferare, ma... sono le difficoltà, che aguzzano l'ingegno (ci ricorda il Manzoni)! Quando sarò rapito da una rappresentazione che mi affascina, o respinto da una che mi disgusta, resisterò alla tentazione, alla pulsione di fare immediatamente “CLICK”? Va valutato inoltre che le questioni da decidere saranno una infinità, da quelle di carattere nazionale a quelle inerenti la vita delle comunità locali, e se perderai troppo tempo per riflettere su qualcuna, trascurerai le altre. Si imporrà oltretutto una nuova norma etica, socialmente condivisa (come quella che ci ha convinti finora della sacralità e della ineluttabilità della democrazia), un dover-essere collettivo per cui ogni cittadino perbene dovrà dare il proprio contributo ad ogni decisione, pena non poter più criticare la norma consacrata dal voto degli altri, avendone perso il diritto morale. La vita individuale ne sarà massacrata, la vita sarà massacrata.
Nella psicologia come scienza, lo studio dei processi creativi è ancora una zona d'ombra, illuminata dagli sforzi di alcuni pionieri. E' tuttavia già accertata una legge, secondo la quale una concezione innovativa deve fare una lunga anticamera nell'apparato pre-logico della mente, prima di imporsi alla coscienza e poter trasformare la precedente organizzazione cognitiva dei dati. Questo valse per la teoria della relatività, come vale per tutti noi che non siamo Einstein. Vale anche per me, che ci ho messo una vita quasi intera, per superare l'ideale democratico. Il pensiero ha tutt'altre regole ed esigenze che una partita di ping-pong.
Il risultato del gigantesco “ping-pong legislativo stimolo-risposta made in Casaleggio” sarà dunque quello di impedire il pensiero creativo, l'innovazione, e ridurre enormemente le possibilità di riflessione. Per come io sono fatto, faccio già fatica ad accettare in forma parziale queste limitazioni nel mondo attuale, non so se riuscirei vivere in una dittatura della pancia sulla mente. Se uccidiamo del tutto la creatività, se togliamo l'innovazione, il mondo perde il suo sale e la vita non vale più la pena di essere vissuta. E nel senso del benessere materiale collettivo, le soluzioni migliori ai problemi si trovano quando vi è una piccola minoranza di geni-genietti-geniacci, lasciati liberi di arrovellarsi mentalmente per partorire qualcosa di nuovo nell'interesse di tutti. La conoscenza si genera a livello sociale, si è detto più sopra, non si genera a livello individuale; ma si genera per punte di diamante, per fughe in avanti di pionieri che raccolgono i fermenti collettivi che la loro epoca ha prodotto, e li portano a maturazione terminale sotto forma di idee, idee che gli stessi pionieri del pensiero concatenano in una visione della realtà nuova, la quale dà un nuovo centro e una diversa angolatura prospettica alla configurazione percettiva-cognitiva precedente. Senza questa dialettica, tra il grande gruppo che si muove lungo le linee determinate dalla Storia, e un esiguo drappello di testa che fugge in avanti, tutto chiuso in se stesso e concentrato nel proprio sforzo, per poi farsi raggiungere; senza questa dinamica, il progresso dell'umanità non c'è oppure è molto più lento ed accidentale. E se fosse anche soltanto un progresso più lento, significherebbe tanto bene in meno per l'umanità, tanto benessere in meno, tanta sofferenza e tanti morti in più.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
(Continua)
Continua:
3) per formulare un'altra critica alla visione politica di Gianroberto Casaleggio, è utile riprendere un passo dell'intervista già riportata con il primo link:
Segretezza (nelle trattative) e leaderismo sono due caratteristiche della politica. Crede che il web possa eliminarle? Perché è giusto farlo?
«La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione. Non è corretto che qualcuno decida per i cittadini in base a logiche imperscrutabili e senza renderne conto. Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo, in caso contrario non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia”-
Dunque, una politica tutta trasparente, senza segretezza nelle trattative: questo rivendica il nostro. Se non fosse un benemerito, se non fosse il fondatore di un movimento che è benefico per la società italiana, e che ha dato una speranza pure a noi, grideremmo che è un pazzo e che occorre metterlo in prigione per il bene della società stessa. Trattandosi di lui, di un puro idealista nonché di un benefattore, ci limiteremo a ricordare che tutti i politici, anche quelli più piccoli, sanno che senza trattative riservate e segrete, IL MONDO CROLLA. E questa necessità la contemplano pure gli studiosi, per quanto astratti e teorici, di psicologia sociale e scienza della politica: essi ci insegnano infatti che tutti gli eventi che comportano un confronto problematico, e la soluzione di un conflitto, richiedono un preliminare lavoro di abboccamento fra intermediari delle due parti contrapposte, un tira e molla, un lavoro di lima dietro le quinte, prima che si raggiunga un accordo. Nella più “democratica” delle organizzazioni politiche, nessun leader vince un congresso durante il congresso stesso, bensì prima, tramite patteggiamenti ed accordi informali condotti in buona parte da abili mediatori, uomini di fiducia che negheranno sempre al grande pubblico l'opera da loro svolta.
Questo primato della trattativa informale e nascosta, su quella controllabile e condotta alla luce del sole, ha riguardato l'uomo da quando esso è animale politico, cioè da sempre.
Ma se volessi convincere qualcuno di questa tesi, citerei due casi-limite.
Per il primo esempio scomoderò uno storico campione della democrazia che non è più fra noi, il mitico Enrico Berlinguer.
Credo che pochi come lui abbiano incarnato, e addirittura con alterigia, questo tratto culturale e politico distintivo: la trasparenza nei confronti della “base” (o “classe”) , la necessità di un confronto con i lavoratori per ogni decisione importante, il dovere morale che ogni passo compiuto sia manifesto al popolo rappresentato.
Ma Berlinguer era un politico, a differenza di Casaleggio; quindi in circostanze cruciali accettava perfino di cadere in contraddizione con l'ideale di trasparenza da lui stesso professato. Uno di questi casi, fu quando il mitico Enrico tentò un abboccamento riservato con Pierre Carniti, per indurlo a ritirare l'appoggio al decreto di San Valentino ed evitare la rottura con la CGIL, e la conseguente frantumazione della federazione sindacale unitaria. Leggiamo nell' “e-book “ di Pierre Carniti “Passato prossimo”: “Tatò mi telefona per dirmi che Berlinguer vorrebbe parlarmi a quattr’occhi. Mi accordo per incontrarlo a casa dello stesso Tatò. L’incontro dura un paio d’ore”. Se non fosse stato per Carniti, che a distanza di anni ha rivelato per iscritto questo incontro ed i temi in esso dibattuti, il popolo che si identifica/va con Enrico Berlinguer non ne avrebbe mai saputo nulla. Questo colloquio riservato ha tutto della trattativa segreta fin qui tratteggiata: l'utilizzo di un abile mediatore (Tatò del PCI), vicino ad entrambe le parti in contrasto, e il carattere ristretto della discussione (due interlocutori più un mediatore o moderatore). Ho argomentato in un altro topic il mio giudizio negativo sull'operato di Berlinguer in quegli anni ( https://vivaibidelli.forumattivo.com/t42-scala-mobile-amarcord ), e come lo si possa ritenere il principale responsabile di quel disastro che è stato la fine dell'unità sindacale; ciò non toglie, per la costante ambiguità delle cose umane tante volte richiamata, che QUELLA VOLTA Berlinguer abbia compiuto un passo da apprezzare. E non poteva farlo se non segretamente; qualora avesse scritto sull'Unità che intendeva incontrare Carniti per parlare con lui di scala mobile, solo per questo le posizioni di entrambi si sarebbero irrigidite, e subito le rispettive tifoserie si sarebbero mobilitate per impedire ogni possibile accordo.
L'accordo in quel caso non si raggiunse; se l'esito fosse stato diverso, tutto il merito di evitare l'indebolimento dei sindacati confederali, ed anche quel referendum che ha lacerato il mondo del lavoro (seminando discordie e ostilità, che hanno nuociuto anche alla convivenza fra le persone), tutti questi meriti sarebbero stati di una TRATTATIVA SEGRETA.
Il secondo esempio per argomentare la tesi della opportunità, anzi, di una certa ineludibilità, delle trattative segrete, ci porta su un terreno scabroso. Ricordate la prima guerra del golfo? Non si era mai capito perché Bush padre si fosse accontentato di liberare il Kuwait e di sfoltire l'esercito iracheno, rinunciando ad eliminare Saddam Hussein, che pure odiava, ed avesse lasciato questa incombenza al figlio, il quale la considerò poi come un obbligo morale per completare l'opera paterna.
Non si era capito il motivo, finché certe indiscrezioni giornalistiche non hanno rivelato, anzi sussurrato, l'unica spiegazione plausibile; vi è stata una trattativa segreta fra le due parti belligeranti. Allora si credeva che Saddam disponesse di uno spaventoso arsenale di armi chimiche, e fosse pronto ad usarlo ai danni dell'armata occidentale e delle popolazioni vicine. Fu quindi promesso e concesso il mantenimento del trono al dittatore iracheno (che subito ne approfittò per massacrare i curdi ed altri dissidenti), in cambio della sua rinuncia a colpire con armi improprie . Una trattativa schifosa, siamo d'accordo. Ma quella trattativa salvò molte vite umane. Si sarebbe forse potuto raggiungere lo stesso obiettivo, di limitare i danni della guerra, con una trattativa alla luce del sole? Forse che il popolo americano e le altre popolazioni occidentali avrebbero accettato che si trattasse con “il nuovo Hitler”? Ed i sostenitori del rais iracheno avrebbero amato Saddam con la stessa intensità di prima, se egli avesse patteggiato con l'odiato nemico americano? Vi sono dei passi che l'opinione pubblica non sopporta; se sono passi forieri di bene, è necessario dunque che non li conoscano coloro che non li possono sopportare, se questi ultimi hanno il potere di interdire quei passi.
(Continua)
Continua:
3) per formulare un'altra critica alla visione politica di Gianroberto Casaleggio, è utile riprendere un passo dell'intervista già riportata con il primo link:
Segretezza (nelle trattative) e leaderismo sono due caratteristiche della politica. Crede che il web possa eliminarle? Perché è giusto farlo?
«La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione. Non è corretto che qualcuno decida per i cittadini in base a logiche imperscrutabili e senza renderne conto. Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo, in caso contrario non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia”-
Dunque, una politica tutta trasparente, senza segretezza nelle trattative: questo rivendica il nostro. Se non fosse un benemerito, se non fosse il fondatore di un movimento che è benefico per la società italiana, e che ha dato una speranza pure a noi, grideremmo che è un pazzo e che occorre metterlo in prigione per il bene della società stessa. Trattandosi di lui, di un puro idealista nonché di un benefattore, ci limiteremo a ricordare che tutti i politici, anche quelli più piccoli, sanno che senza trattative riservate e segrete, IL MONDO CROLLA. E questa necessità la contemplano pure gli studiosi, per quanto astratti e teorici, di psicologia sociale e scienza della politica: essi ci insegnano infatti che tutti gli eventi che comportano un confronto problematico, e la soluzione di un conflitto, richiedono un preliminare lavoro di abboccamento fra intermediari delle due parti contrapposte, un tira e molla, un lavoro di lima dietro le quinte, prima che si raggiunga un accordo. Nella più “democratica” delle organizzazioni politiche, nessun leader vince un congresso durante il congresso stesso, bensì prima, tramite patteggiamenti ed accordi informali condotti in buona parte da abili mediatori, uomini di fiducia che negheranno sempre al grande pubblico l'opera da loro svolta.
Questo primato della trattativa informale e nascosta, su quella controllabile e condotta alla luce del sole, ha riguardato l'uomo da quando esso è animale politico, cioè da sempre.
Ma se volessi convincere qualcuno di questa tesi, citerei due casi-limite.
Per il primo esempio scomoderò uno storico campione della democrazia che non è più fra noi, il mitico Enrico Berlinguer.
Credo che pochi come lui abbiano incarnato, e addirittura con alterigia, questo tratto culturale e politico distintivo: la trasparenza nei confronti della “base” (o “classe”) , la necessità di un confronto con i lavoratori per ogni decisione importante, il dovere morale che ogni passo compiuto sia manifesto al popolo rappresentato.
Ma Berlinguer era un politico, a differenza di Casaleggio; quindi in circostanze cruciali accettava perfino di cadere in contraddizione con l'ideale di trasparenza da lui stesso professato. Uno di questi casi, fu quando il mitico Enrico tentò un abboccamento riservato con Pierre Carniti, per indurlo a ritirare l'appoggio al decreto di San Valentino ed evitare la rottura con la CGIL, e la conseguente frantumazione della federazione sindacale unitaria. Leggiamo nell' “e-book “ di Pierre Carniti “Passato prossimo”: “Tatò mi telefona per dirmi che Berlinguer vorrebbe parlarmi a quattr’occhi. Mi accordo per incontrarlo a casa dello stesso Tatò. L’incontro dura un paio d’ore”. Se non fosse stato per Carniti, che a distanza di anni ha rivelato per iscritto questo incontro ed i temi in esso dibattuti, il popolo che si identifica/va con Enrico Berlinguer non ne avrebbe mai saputo nulla. Questo colloquio riservato ha tutto della trattativa segreta fin qui tratteggiata: l'utilizzo di un abile mediatore (Tatò del PCI), vicino ad entrambe le parti in contrasto, e il carattere ristretto della discussione (due interlocutori più un mediatore o moderatore). Ho argomentato in un altro topic il mio giudizio negativo sull'operato di Berlinguer in quegli anni ( https://vivaibidelli.forumattivo.com/t42-scala-mobile-amarcord ), e come lo si possa ritenere il principale responsabile di quel disastro che è stato la fine dell'unità sindacale; ciò non toglie, per la costante ambiguità delle cose umane tante volte richiamata, che QUELLA VOLTA Berlinguer abbia compiuto un passo da apprezzare. E non poteva farlo se non segretamente; qualora avesse scritto sull'Unità che intendeva incontrare Carniti per parlare con lui di scala mobile, solo per questo le posizioni di entrambi si sarebbero irrigidite, e subito le rispettive tifoserie si sarebbero mobilitate per impedire ogni possibile accordo.
L'accordo in quel caso non si raggiunse; se l'esito fosse stato diverso, tutto il merito di evitare l'indebolimento dei sindacati confederali, ed anche quel referendum che ha lacerato il mondo del lavoro (seminando discordie e ostilità, che hanno nuociuto anche alla convivenza fra le persone), tutti questi meriti sarebbero stati di una TRATTATIVA SEGRETA.
Il secondo esempio per argomentare la tesi della opportunità, anzi, di una certa ineludibilità, delle trattative segrete, ci porta su un terreno scabroso. Ricordate la prima guerra del golfo? Non si era mai capito perché Bush padre si fosse accontentato di liberare il Kuwait e di sfoltire l'esercito iracheno, rinunciando ad eliminare Saddam Hussein, che pure odiava, ed avesse lasciato questa incombenza al figlio, il quale la considerò poi come un obbligo morale per completare l'opera paterna.
Non si era capito il motivo, finché certe indiscrezioni giornalistiche non hanno rivelato, anzi sussurrato, l'unica spiegazione plausibile; vi è stata una trattativa segreta fra le due parti belligeranti. Allora si credeva che Saddam disponesse di uno spaventoso arsenale di armi chimiche, e fosse pronto ad usarlo ai danni dell'armata occidentale e delle popolazioni vicine. Fu quindi promesso e concesso il mantenimento del trono al dittatore iracheno (che subito ne approfittò per massacrare i curdi ed altri dissidenti), in cambio della sua rinuncia a colpire con armi improprie . Una trattativa schifosa, siamo d'accordo. Ma quella trattativa salvò molte vite umane. Si sarebbe forse potuto raggiungere lo stesso obiettivo, di limitare i danni della guerra, con una trattativa alla luce del sole? Forse che il popolo americano e le altre popolazioni occidentali avrebbero accettato che si trattasse con “il nuovo Hitler”? Ed i sostenitori del rais iracheno avrebbero amato Saddam con la stessa intensità di prima, se egli avesse patteggiato con l'odiato nemico americano? Vi sono dei passi che l'opinione pubblica non sopporta; se sono passi forieri di bene, è necessario dunque che non li conoscano coloro che non li possono sopportare, se questi ultimi hanno il potere di interdire quei passi.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Riprendiamo:
“«La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione. Non è corretto che qualcuno decida per i cittadini in base a logiche imperscrutabili e senza renderne conto. Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo, in caso contrario non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia”-
Casaleggio ha dunque scoperto l'inganno, della democrazia rappresentativa, ed ha perfettamente ragione. Ha ragione quando afferma che alle condizioni attuali “non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia”. Si è tenuto prudente per eleganza; noi che siamo dei volgari bidelli, ci esprimiamo in un modo più diretto e perentorio: “NON SI PUO' AFFATTO PARLARE DI DEMOCRAZIA”.
L'unico modo in cui se ne potrebbe parlare, è un modo totalmente alla luce del sole, come quello auspicato da Gianroberto. Ma queste modalità, si è detto, sono socialmente deleterie e distruttive.
Dunque la DEMOCRAZIA:
o è un inganno, o è un danno (un danno grave, una rovina). Come volevasi argomentare.
Consentitemi ora uno slargamento, per dedicare una notazione critica a Gianroberto Casaleggio come tipo umano, prima di congedarci da lui. Senza nessuna pretesa di indovinare l'identità di un uomo tanto enigmatico (anche se i bidelli spesso ci azzeccano, proprio perché si muovono e si orientano terra-terra), oso affermare: si tratta di un “puro”. Un puro idealista, come lo era Robespierre. Si tratta di un uomo di acclarata buona volontà, come traspare da tutto il suo impegno politico; ma pure di buoni sentimenti, come traspare da un passo in coda a quella antica intervista al “Corriere della Sera”, che abbiamo citato più sopra:
“E qual è il progetto di cui è più orgoglioso?
«In generale tutte le volte che attraverso il blog o il M5S siamo riusciti ad aiutare a dare voce agli emarginati o a chi era in difficoltà, come nel caso di Federico Aldrovandi (il diciottenne ucciso a Ferrara da poliziotti nel 2009,ndr). L’ultimo libro con Fo e Grillo, Il Grillo canta sempre al tramonto in cui si discute del senso del M5S, ne è un piccolo esempio attraverso la cessione dei diritti dei tre autori a un’associazione di bambini ciechi e a una di bambini sordomuti che versavano in gravi difficoltà»”.
Senza questa domanda della intervistatrice, il merito umano di Casaleggio-benefattore non si sarebbe forse mai saputo. E questa riservatezza gli fa non poco onore. Tuttavia, per quanto il nostro sia encomiabile sul piano umano ed etico, chiedo ai più anziani dei miei lettori: se non esistesse il caso-Casaleggio, voi vi fidereste di uno che fa il capellone a sessant'anni? E che fa il capellone oggi? Il mio buonsenso, ed un mio amico psicologo professionista qualificato, che mi donò le sue sentenze quando ancora non si conosceva Casaleggio, mi dicono che in questi casi non c'è affatto da fidarsi.
(Continua)
Riprendiamo:
“«La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione. Non è corretto che qualcuno decida per i cittadini in base a logiche imperscrutabili e senza renderne conto. Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo, in caso contrario non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia”-
Casaleggio ha dunque scoperto l'inganno, della democrazia rappresentativa, ed ha perfettamente ragione. Ha ragione quando afferma che alle condizioni attuali “non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia”. Si è tenuto prudente per eleganza; noi che siamo dei volgari bidelli, ci esprimiamo in un modo più diretto e perentorio: “NON SI PUO' AFFATTO PARLARE DI DEMOCRAZIA”.
L'unico modo in cui se ne potrebbe parlare, è un modo totalmente alla luce del sole, come quello auspicato da Gianroberto. Ma queste modalità, si è detto, sono socialmente deleterie e distruttive.
Dunque la DEMOCRAZIA:
o è un inganno, o è un danno (un danno grave, una rovina). Come volevasi argomentare.
Consentitemi ora uno slargamento, per dedicare una notazione critica a Gianroberto Casaleggio come tipo umano, prima di congedarci da lui. Senza nessuna pretesa di indovinare l'identità di un uomo tanto enigmatico (anche se i bidelli spesso ci azzeccano, proprio perché si muovono e si orientano terra-terra), oso affermare: si tratta di un “puro”. Un puro idealista, come lo era Robespierre. Si tratta di un uomo di acclarata buona volontà, come traspare da tutto il suo impegno politico; ma pure di buoni sentimenti, come traspare da un passo in coda a quella antica intervista al “Corriere della Sera”, che abbiamo citato più sopra:
“E qual è il progetto di cui è più orgoglioso?
«In generale tutte le volte che attraverso il blog o il M5S siamo riusciti ad aiutare a dare voce agli emarginati o a chi era in difficoltà, come nel caso di Federico Aldrovandi (il diciottenne ucciso a Ferrara da poliziotti nel 2009,ndr). L’ultimo libro con Fo e Grillo, Il Grillo canta sempre al tramonto in cui si discute del senso del M5S, ne è un piccolo esempio attraverso la cessione dei diritti dei tre autori a un’associazione di bambini ciechi e a una di bambini sordomuti che versavano in gravi difficoltà»”.
Senza questa domanda della intervistatrice, il merito umano di Casaleggio-benefattore non si sarebbe forse mai saputo. E questa riservatezza gli fa non poco onore. Tuttavia, per quanto il nostro sia encomiabile sul piano umano ed etico, chiedo ai più anziani dei miei lettori: se non esistesse il caso-Casaleggio, voi vi fidereste di uno che fa il capellone a sessant'anni? E che fa il capellone oggi? Il mio buonsenso, ed un mio amico psicologo professionista qualificato, che mi donò le sue sentenze quando ancora non si conosceva Casaleggio, mi dicono che in questi casi non c'è affatto da fidarsi.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Dopo aver salutato Gianroberto Casaleggio, qualcosa resta da dire di suo figlio, ovvero del movimento da lui fondato, un movimento che attualmente noi “bidelli” appoggiamo dall'esterno. Non so quanto durerà questo consenso che diamo al Movimento cinque stelle, il cui spirito stride fortemente con le idee di questo stesso elaborato.
Il movimento in questione è portatore di una clamorosa contraddizione, come già si è accennato, della quale non è minimamente consapevole. Si permette di difendere la Costituzione e di invocarne la sacralità, quando i Padri Costituenti mai avrebbero condiviso una democrazia di base gestita tramite il computer (se a quei tempi fosse stata possibile), criticata nel post precedente e praticata costantemente dai pentastellari. I Padri vollero un Parlamento perché si potesse legiferare decantando le passioni popolari quanto più possibile, e vollero due camere anziché una, per un surplus di prudenza, perché questi due organismi si controllassero reciprocamente: due i filtri, non uno solo, sulle opzioni di tipo epidermico o viscerale. In sostanza: un potenziamento del primato e del controllo della ragione sulla pancia.
Noi non condividiamo il pacifismo acritico del movimento, che suona alle nostre orecchie come egoismo puro e abbandono dei più deboli alle violenze;
non condividiamo la sopravvalutazione dell'onestà (che resta comunque un dovere cardinale per ogni politico e per ogni cittadino), la sopravvalutazione della base popolare e della volontà del popolo, non condividiamo la mancanza di una struttura di partito, non condividiamo altre cose... ma soprattutto NON CONDIVIDIAMO LA DEMOCRAZIA.
Si è detto pure in precedenza che consideriamo il M5s un formidabile anticorpo nella deriva e decadenza attuale; si è detto in altri topic che un ritrovato spirito comunitario è l'unica risorsa, l'unica speranza di salvare l'Italia nei tempi duri che attendono il nostro paese, e che Beppe Grillo ed il gigantesco gruppo-comunità da lui fondato sono gli unici ad incarnare e diffondere questo spirito.
I rischi per me certamente ci sono, e non piccoli, nell'affidarmi ad un popolo e ad istanze che sono da un lato molto simili a me, ma dall'altro molto diversi e contrastanti, e di un contrasto irriducibile. Ma “a mali estremi estremi rimedi” e nella vita vi sono momenti in cui non si può non rischiare (penso quanto debba essere costata a suo tempo ai partigiani anticomunisti la scelta di fare la Resistenza insieme a quelli “rossi”).
Secondo la mia intuizione, della quale non dubito, vi è il rischio che, dopo aver sovreccitato il popolo contro il Parlamento, dopo aver abolito la politica come arte, in nome della semplice onestà, dopo aver reso impossibili le pratiche riservate ed i passi segreti che servono al bene comune, dopo aver fatto guidare la macchina del governo del paese a chi non ha né la patente né la capacità di guida, si debba scegliere tra una dittatura militare o l'instabilità sociale, la perdita di qualità della vita, la violenza diffusa come costante quotidiana, e forse la fame generalizzata.
Ma nell'osare un passo nel quale avverto un tremendo rischio, è di supporto un convincimento, una idea guida che mai ho riscontrato falsa: quando sul piano dei valori astratti o del bilancio costi/benefici, o delle probabilità favorevoli e contrarie, il “pro” ed il “contra” di una scelta si scontrano all'infinito, senza che una delle due opzioni in gioco prevalga per via logica, non resta che mettere da parte l'intelletto ed affidarsi all'olfatto, all' ”odor di bene”. Esiste infatti nell'uomo una capacità nativa, intuitiva, di percepire il bene, laddove l'intelletto, la razionalità e la preparazione culturale non sono sufficienti.
Ed esiste un apparato mentale pre-logico, in ognuno di noi, che è come un meraviglioso elaboratore elettronico . Fu dimostrato, se non ricordo male, che l'uomo della strada è in grado di rispondere esattamente di primo acchito a quesiti su materie che non ha mai studiato, come per esempio: “vi sono più morti per incidente stradale o per tumore?”.
Questo elaboratore inconscio, che un mio antico maestro chiamava “io profondo”, raccoglie quotidianamente tanti dati che sfuggono alla coscienza, la quale non può focalizzarsi su tutto, ed opera deduzioni, esse pure inconsapevoli.
Certo, imparare ad ascoltare e rispettare questa profonda voce di sapienza che tutti abbiamo, è oggi un'opera che esige auto-educazione. Superare il frastuono e l'allagamento della coscienza da parte di una marea di input, fare silenzio dentro di sé e mettersi in ascolto di quanto sale dall'io profondo (che non è la “pancia” viziata) è già una notevole impresa. Mettere da parte le proprie preferenze emotive, che non entrano in ballo su quesiti come quello citato più sopra, ma in altri casi tirano l'io individuale “per i capelli”, è un'altra abilità da recuperare pazientemente. In queste arti io mi sono esercitato a lungo, per cui oggi riesco a fare previsioni esatte anche in materie nelle quali sono del tutto incompetente. Ho previsto da subito il fallimento di Tsipras nella sua sfida ai poteri forti, anche se il mio cuore voleva tutt'altro, e ci ho azzeccato in previsioni cruciali sulla sorte dell'Italia, ad onta dei professori e dei signori della politica, che hanno sbagliato.
Fiero di questi miei vaticini azzeccati (ricordo che non devo dimostrare nulla a nessuno, ripeto ancora una volta che sto scrivendo note confidenziali del tutto soggettive), mi permetto di dire agli amici: bisogna appoggiare il movimento di Beppe Grillo e Luigi Di Maio, è foriero di bene. Ma non sarà positivo in eterno, per quell'eterna miscela e alternanza di bene e di male che è il motivo ispiratore di questo blog. Saliamo dunque con entusiasmo sul carro a cinque stelle, ma teniamoci pronti a scendere.
(Continua)
Dopo aver salutato Gianroberto Casaleggio, qualcosa resta da dire di suo figlio, ovvero del movimento da lui fondato, un movimento che attualmente noi “bidelli” appoggiamo dall'esterno. Non so quanto durerà questo consenso che diamo al Movimento cinque stelle, il cui spirito stride fortemente con le idee di questo stesso elaborato.
Il movimento in questione è portatore di una clamorosa contraddizione, come già si è accennato, della quale non è minimamente consapevole. Si permette di difendere la Costituzione e di invocarne la sacralità, quando i Padri Costituenti mai avrebbero condiviso una democrazia di base gestita tramite il computer (se a quei tempi fosse stata possibile), criticata nel post precedente e praticata costantemente dai pentastellari. I Padri vollero un Parlamento perché si potesse legiferare decantando le passioni popolari quanto più possibile, e vollero due camere anziché una, per un surplus di prudenza, perché questi due organismi si controllassero reciprocamente: due i filtri, non uno solo, sulle opzioni di tipo epidermico o viscerale. In sostanza: un potenziamento del primato e del controllo della ragione sulla pancia.
Noi non condividiamo il pacifismo acritico del movimento, che suona alle nostre orecchie come egoismo puro e abbandono dei più deboli alle violenze;
non condividiamo la sopravvalutazione dell'onestà (che resta comunque un dovere cardinale per ogni politico e per ogni cittadino), la sopravvalutazione della base popolare e della volontà del popolo, non condividiamo la mancanza di una struttura di partito, non condividiamo altre cose... ma soprattutto NON CONDIVIDIAMO LA DEMOCRAZIA.
Si è detto pure in precedenza che consideriamo il M5s un formidabile anticorpo nella deriva e decadenza attuale; si è detto in altri topic che un ritrovato spirito comunitario è l'unica risorsa, l'unica speranza di salvare l'Italia nei tempi duri che attendono il nostro paese, e che Beppe Grillo ed il gigantesco gruppo-comunità da lui fondato sono gli unici ad incarnare e diffondere questo spirito.
I rischi per me certamente ci sono, e non piccoli, nell'affidarmi ad un popolo e ad istanze che sono da un lato molto simili a me, ma dall'altro molto diversi e contrastanti, e di un contrasto irriducibile. Ma “a mali estremi estremi rimedi” e nella vita vi sono momenti in cui non si può non rischiare (penso quanto debba essere costata a suo tempo ai partigiani anticomunisti la scelta di fare la Resistenza insieme a quelli “rossi”).
Secondo la mia intuizione, della quale non dubito, vi è il rischio che, dopo aver sovreccitato il popolo contro il Parlamento, dopo aver abolito la politica come arte, in nome della semplice onestà, dopo aver reso impossibili le pratiche riservate ed i passi segreti che servono al bene comune, dopo aver fatto guidare la macchina del governo del paese a chi non ha né la patente né la capacità di guida, si debba scegliere tra una dittatura militare o l'instabilità sociale, la perdita di qualità della vita, la violenza diffusa come costante quotidiana, e forse la fame generalizzata.
Ma nell'osare un passo nel quale avverto un tremendo rischio, è di supporto un convincimento, una idea guida che mai ho riscontrato falsa: quando sul piano dei valori astratti o del bilancio costi/benefici, o delle probabilità favorevoli e contrarie, il “pro” ed il “contra” di una scelta si scontrano all'infinito, senza che una delle due opzioni in gioco prevalga per via logica, non resta che mettere da parte l'intelletto ed affidarsi all'olfatto, all' ”odor di bene”. Esiste infatti nell'uomo una capacità nativa, intuitiva, di percepire il bene, laddove l'intelletto, la razionalità e la preparazione culturale non sono sufficienti.
Ed esiste un apparato mentale pre-logico, in ognuno di noi, che è come un meraviglioso elaboratore elettronico . Fu dimostrato, se non ricordo male, che l'uomo della strada è in grado di rispondere esattamente di primo acchito a quesiti su materie che non ha mai studiato, come per esempio: “vi sono più morti per incidente stradale o per tumore?”.
Questo elaboratore inconscio, che un mio antico maestro chiamava “io profondo”, raccoglie quotidianamente tanti dati che sfuggono alla coscienza, la quale non può focalizzarsi su tutto, ed opera deduzioni, esse pure inconsapevoli.
Certo, imparare ad ascoltare e rispettare questa profonda voce di sapienza che tutti abbiamo, è oggi un'opera che esige auto-educazione. Superare il frastuono e l'allagamento della coscienza da parte di una marea di input, fare silenzio dentro di sé e mettersi in ascolto di quanto sale dall'io profondo (che non è la “pancia” viziata) è già una notevole impresa. Mettere da parte le proprie preferenze emotive, che non entrano in ballo su quesiti come quello citato più sopra, ma in altri casi tirano l'io individuale “per i capelli”, è un'altra abilità da recuperare pazientemente. In queste arti io mi sono esercitato a lungo, per cui oggi riesco a fare previsioni esatte anche in materie nelle quali sono del tutto incompetente. Ho previsto da subito il fallimento di Tsipras nella sua sfida ai poteri forti, anche se il mio cuore voleva tutt'altro, e ci ho azzeccato in previsioni cruciali sulla sorte dell'Italia, ad onta dei professori e dei signori della politica, che hanno sbagliato.
Fiero di questi miei vaticini azzeccati (ricordo che non devo dimostrare nulla a nessuno, ripeto ancora una volta che sto scrivendo note confidenziali del tutto soggettive), mi permetto di dire agli amici: bisogna appoggiare il movimento di Beppe Grillo e Luigi Di Maio, è foriero di bene. Ma non sarà positivo in eterno, per quell'eterna miscela e alternanza di bene e di male che è il motivo ispiratore di questo blog. Saliamo dunque con entusiasmo sul carro a cinque stelle, ma teniamoci pronti a scendere.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
"E' meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature".
E' una frase nobile, impregnata di spirito libertario e di altri valori. Ed ancora più nobile è l'autore di questo aforisma, il mitico Sandro Pertini, un uomo che ha dato molto all'Italia, prima come partigiano e poi come Presidente della Repubblica. Nel contrappormi a questo concetto, provo non poco imbarazzo. Contrastare le idee di Pertini, il quale ha reso testimonianza ai valori in cui credeva con la coerenza della propria vita, ed affrontando privazioni e terribili rischi ha contribuito a renderci liberi, farà indignare chi mi legge, più ancora della tesi fin qui argomentata; ma soprattutto questa contrapposizione da' disagio e turbamento a me, che amo, venero e rimpiango la figura di Sandro Pertini. Devo quindi ricordare a me stesso, uno dei principi sui quali è incardinato il presente blog, ed una sua sezione in particolare (“La pagina delle contraddizioni”): il BENE ed il MALE (e dunque anche il VERO ed il FALSO), convivono intrecciati in ogni ente (e si alternano in ogni estensione prolungata di spazio e di tempo). E' possibile quindi che un nano come lo scrivente abbia ragione contrapponendosi ad un gigante, anche perché chi scrive è un nano sulle spalle dello stesso gigante: superare la democrazia non sarebbe oggi possibile, se il tentativo di conquistarla, incarnarla e praticarla non si fosse già consumato fino in fondo con le energie migliori dei nostri padri, che sono giunti perfino al martirio per questa causa.
Senza più indugi: Pertini sbagliava, formulando quella massima. E dietro di lui sbagliano oggi tutti coloro per i quali quel pensiero è un dogma di verità. E' evidente la falsità dell'assunto, se lo confrontiamo con i fatti attuali, e del recente passato; ancora più evidente se ci si concentra su quella che è la democrazia modello per gli occidentali: la democrazia degli USA. Questa forma di governo e di sistema politico e legislativo può veramente essere ammirata, e noi italiani non sbagliamo quando la invidiamo. Ma questo sistema di leggi, di pratiche, di meccanismi e di garanzie è rimasto poco di più di una bellissima poesia, di un inno alla libertà ed ai valori dell'occidente. Quanti milioni di morti ha causato o permesso, in Iraq da pochi anni, e prima ancora in Vietnam e in Giappone, la meravigliosa democrazia americana, faro dell'occidente? Senza contare le vittime delle dittature nei paesi latinoamericani, dittature promosse e sostenute dalla CIA? Senza contare i morti delle stragi di stato, dalle nostre fino all'11 settembre e ai fatti di Parigi (non obiettatemi che sto alternando dati fattuali con mere supposizioni non dimostrate: io mi sto contrapponendo al pensiero del mitico Pertini, e non vi è dubbio che il Nostro la pensasse e la avrebbe pensata in questo modo; inoltre, chi non ritiene che nell'abbattimento delle torri gemelle vi sia la mano e soprattutto la committenza dei servizi segreti statunitensi, può fare a meno di leggere queste note). Senza contare la creazione dell'Isis, che secondo la denuncia della stessa Hillary Clinton è opera degli USA. Se la Russia di Putin sia o non sia una democrazia è un problema irrisolto dai grandi osservatori, analisti e politologi. Di sicuro Pertini non la avrebbe considerata tale, non fece la Resistenza per dar vita a dei regimi autoritari. Ebbene Putin, abbia o non abbia fatto assassinare i suoi avversari politici, come si mormora e da molti si ritiene, ha procurato di certo meno morti degli americani. E la morte è irreversibile, mentre l'oppressione e la cattiva qualità della vita sono reversibili. Ma riprenderemo questo motivo. Consideriamo ora la seconda grande democrazia occidentale, nella classifica di quelle più ammirate: quella inglese. Alcuni decenni fa il turista occidentale che visitava Londra ne tornava inebriato, lo so per testimonianze ricevute, tutte concordanti. Si respirava libertà, vivacità, gioia di vivere ed una atmosfera di diffuso benessere. Non so se questo stato di cose perduri, io non sono stato a Londra né ieri né oggi. Ma ammettiamo che almeno in parte questo senso di felicità perduri. Ricordiamoci però subito dopo che il Regno Unito, sotto la splendida guida di Tony Blair, è stato corresponsabile alla pari con gli USA dei milioni di morti iracheni e della destabilizzazione di quell'area geografica, uno sconvolgimento che ha continuato e continua a produrre lutti e terribili sofferenze; ricordiamoci inoltre che anche sotto i governi successivi l'Inghilterra ha seguitato ad essere guerrafondaia e interventista, causando la perdita di vite umane e seminando distruzione e odio. E questo viene fatto da una grande democrazia. Ma vogliamo astrarci dalle vicende internazionali, e ricordare soltanto quelle di politica interna, come molti fanno? Margaret Thatcher, democraticamente eletta nella democraticissima Inghilterra, quadruplicò intenzionalmente il numero dei disoccupati: questo le dittature latinoaamericane non lo hanno mai fatto, e non lo hanno mai fatto Saddam Hussein e Gheddafi, che di certo erano dittatori.
Un'altra democrazia decantata è quella di Israele, perché è l'unica democrazia nel Medio Oriente. Questa condizione esclusiva è un motivo sufficiente per certuni, per parteggiare per Israele nell'eterno conflitto con gli arabi, conflitto che Israele ha sempre provocato. A chi non è prevenuto è evidente senza bisogno di alcuna parola, quanta violenza, quanta morte e quanta ingiustizia produca la democrazia israeliana. In tutto il mondo, vi sono e vi sono stati dei paesi non democratici, meno portatori di violenza. Un caso simile ad Israele è quello della Turchia; un analista accreditato si è permesso recentemente di dire in un talk-show che lui stava dalla parte della Turchia piuttosto che dell'Iran, della Russia e della Siria, perché soltanto la prima è un democrazia, certo imperfetta e discutibile, ma pur sempre una democrazia. Sì, una democrazia... che sostiene e finanzia l'Isis!!!
Per screditare la tesi di Pertini sull'assoluto primato etico della democrazia in quanto tale, possiamo pure volgere lo sguardo al passato. Chi ha una certa età come lo scrivente, ricorda bene l'indignazione e la repulsione che provò per l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle nazioni dl Patto di Varsavia. Quella, come scrisse Kundera, fu una spudorata forma di violenza alla luce del sole, sotto le cineprese. Fu certamente una repressione odiosa. Ma non dimentichiamo che il patto stipulato a Yalta per la spartizione del mondo, veniva difeso pure dall'altra parte contraente, con metodi più nascosti ma più cruenti, come colpi di stato promossi e pilotati dall'esterno in paesi di importanza strategica cruciale, “stragi di stato" e condizionamenti di altro tipo. L'invasione sovietica della Cecoslovacchia produsse tanti morti quanti ne causa un incidente stradale... E poi: l'ideatore e autore di quella ripugnante invasione, Leonid Breznev, è oggi ricordato dalle masse popolari degli stati dell'ex Unione Sovietica, quasi alla stregua di un padre della patria, per aver risollevato l'agricoltura dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale e migliorato le condizioni di vita dei popoli.
Attenzione: con quanto argomentato fin qui non si è voluto sostenere che le dittature siano positive, siano da amarsi; si è voluto semplicemente contestare il principio che le democrazie siano da preferirsi a priori, e incondizionatamente.
(Continua)
"E' meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature".
E' una frase nobile, impregnata di spirito libertario e di altri valori. Ed ancora più nobile è l'autore di questo aforisma, il mitico Sandro Pertini, un uomo che ha dato molto all'Italia, prima come partigiano e poi come Presidente della Repubblica. Nel contrappormi a questo concetto, provo non poco imbarazzo. Contrastare le idee di Pertini, il quale ha reso testimonianza ai valori in cui credeva con la coerenza della propria vita, ed affrontando privazioni e terribili rischi ha contribuito a renderci liberi, farà indignare chi mi legge, più ancora della tesi fin qui argomentata; ma soprattutto questa contrapposizione da' disagio e turbamento a me, che amo, venero e rimpiango la figura di Sandro Pertini. Devo quindi ricordare a me stesso, uno dei principi sui quali è incardinato il presente blog, ed una sua sezione in particolare (“La pagina delle contraddizioni”): il BENE ed il MALE (e dunque anche il VERO ed il FALSO), convivono intrecciati in ogni ente (e si alternano in ogni estensione prolungata di spazio e di tempo). E' possibile quindi che un nano come lo scrivente abbia ragione contrapponendosi ad un gigante, anche perché chi scrive è un nano sulle spalle dello stesso gigante: superare la democrazia non sarebbe oggi possibile, se il tentativo di conquistarla, incarnarla e praticarla non si fosse già consumato fino in fondo con le energie migliori dei nostri padri, che sono giunti perfino al martirio per questa causa.
Senza più indugi: Pertini sbagliava, formulando quella massima. E dietro di lui sbagliano oggi tutti coloro per i quali quel pensiero è un dogma di verità. E' evidente la falsità dell'assunto, se lo confrontiamo con i fatti attuali, e del recente passato; ancora più evidente se ci si concentra su quella che è la democrazia modello per gli occidentali: la democrazia degli USA. Questa forma di governo e di sistema politico e legislativo può veramente essere ammirata, e noi italiani non sbagliamo quando la invidiamo. Ma questo sistema di leggi, di pratiche, di meccanismi e di garanzie è rimasto poco di più di una bellissima poesia, di un inno alla libertà ed ai valori dell'occidente. Quanti milioni di morti ha causato o permesso, in Iraq da pochi anni, e prima ancora in Vietnam e in Giappone, la meravigliosa democrazia americana, faro dell'occidente? Senza contare le vittime delle dittature nei paesi latinoamericani, dittature promosse e sostenute dalla CIA? Senza contare i morti delle stragi di stato, dalle nostre fino all'11 settembre e ai fatti di Parigi (non obiettatemi che sto alternando dati fattuali con mere supposizioni non dimostrate: io mi sto contrapponendo al pensiero del mitico Pertini, e non vi è dubbio che il Nostro la pensasse e la avrebbe pensata in questo modo; inoltre, chi non ritiene che nell'abbattimento delle torri gemelle vi sia la mano e soprattutto la committenza dei servizi segreti statunitensi, può fare a meno di leggere queste note). Senza contare la creazione dell'Isis, che secondo la denuncia della stessa Hillary Clinton è opera degli USA. Se la Russia di Putin sia o non sia una democrazia è un problema irrisolto dai grandi osservatori, analisti e politologi. Di sicuro Pertini non la avrebbe considerata tale, non fece la Resistenza per dar vita a dei regimi autoritari. Ebbene Putin, abbia o non abbia fatto assassinare i suoi avversari politici, come si mormora e da molti si ritiene, ha procurato di certo meno morti degli americani. E la morte è irreversibile, mentre l'oppressione e la cattiva qualità della vita sono reversibili. Ma riprenderemo questo motivo. Consideriamo ora la seconda grande democrazia occidentale, nella classifica di quelle più ammirate: quella inglese. Alcuni decenni fa il turista occidentale che visitava Londra ne tornava inebriato, lo so per testimonianze ricevute, tutte concordanti. Si respirava libertà, vivacità, gioia di vivere ed una atmosfera di diffuso benessere. Non so se questo stato di cose perduri, io non sono stato a Londra né ieri né oggi. Ma ammettiamo che almeno in parte questo senso di felicità perduri. Ricordiamoci però subito dopo che il Regno Unito, sotto la splendida guida di Tony Blair, è stato corresponsabile alla pari con gli USA dei milioni di morti iracheni e della destabilizzazione di quell'area geografica, uno sconvolgimento che ha continuato e continua a produrre lutti e terribili sofferenze; ricordiamoci inoltre che anche sotto i governi successivi l'Inghilterra ha seguitato ad essere guerrafondaia e interventista, causando la perdita di vite umane e seminando distruzione e odio. E questo viene fatto da una grande democrazia. Ma vogliamo astrarci dalle vicende internazionali, e ricordare soltanto quelle di politica interna, come molti fanno? Margaret Thatcher, democraticamente eletta nella democraticissima Inghilterra, quadruplicò intenzionalmente il numero dei disoccupati: questo le dittature latinoaamericane non lo hanno mai fatto, e non lo hanno mai fatto Saddam Hussein e Gheddafi, che di certo erano dittatori.
Un'altra democrazia decantata è quella di Israele, perché è l'unica democrazia nel Medio Oriente. Questa condizione esclusiva è un motivo sufficiente per certuni, per parteggiare per Israele nell'eterno conflitto con gli arabi, conflitto che Israele ha sempre provocato. A chi non è prevenuto è evidente senza bisogno di alcuna parola, quanta violenza, quanta morte e quanta ingiustizia produca la democrazia israeliana. In tutto il mondo, vi sono e vi sono stati dei paesi non democratici, meno portatori di violenza. Un caso simile ad Israele è quello della Turchia; un analista accreditato si è permesso recentemente di dire in un talk-show che lui stava dalla parte della Turchia piuttosto che dell'Iran, della Russia e della Siria, perché soltanto la prima è un democrazia, certo imperfetta e discutibile, ma pur sempre una democrazia. Sì, una democrazia... che sostiene e finanzia l'Isis!!!
Per screditare la tesi di Pertini sull'assoluto primato etico della democrazia in quanto tale, possiamo pure volgere lo sguardo al passato. Chi ha una certa età come lo scrivente, ricorda bene l'indignazione e la repulsione che provò per l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle nazioni dl Patto di Varsavia. Quella, come scrisse Kundera, fu una spudorata forma di violenza alla luce del sole, sotto le cineprese. Fu certamente una repressione odiosa. Ma non dimentichiamo che il patto stipulato a Yalta per la spartizione del mondo, veniva difeso pure dall'altra parte contraente, con metodi più nascosti ma più cruenti, come colpi di stato promossi e pilotati dall'esterno in paesi di importanza strategica cruciale, “stragi di stato" e condizionamenti di altro tipo. L'invasione sovietica della Cecoslovacchia produsse tanti morti quanti ne causa un incidente stradale... E poi: l'ideatore e autore di quella ripugnante invasione, Leonid Breznev, è oggi ricordato dalle masse popolari degli stati dell'ex Unione Sovietica, quasi alla stregua di un padre della patria, per aver risollevato l'agricoltura dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale e migliorato le condizioni di vita dei popoli.
Attenzione: con quanto argomentato fin qui non si è voluto sostenere che le dittature siano positive, siano da amarsi; si è voluto semplicemente contestare il principio che le democrazie siano da preferirsi a priori, e incondizionatamente.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Una confidenza si impone: nello scrivere il post precedente ho sofferto molto. Io infatti appartengo a quella minoranza di tipi umani che riesce vivere solo in una democrazia, e che in una dittatura si suiciderebbe, oppure insorgerebbe contro il potere costituito procurandosi la rovina, oppure cadrebbe in depressione. (Naturalmente questo è vero solo se ci confrontiamo con i modelli politico-sociali attuali e con quelli storici, ovvero se manteniamo l'equazione “democrazia = libertà di pensiero”). Ma se il post di cui sopra è stato scritto così controvoglia, e da uno che ha solo da perderci, nel confutare il primato delle democrazie sulle dittature... ai miei occhi il contenuto di verità di quello scritto ne esce corroborato.
Ma proseguiamo: se è vero dunque che le democrazie non sono migliori delle dittature, che cosa dovrà fare un movimento o partito politico, o un movimento di opinione? Perseguire la dittatura? O perseguire la democrazia, cercando di espungerne i tratti “mortiferi”? Né l'una né l'altra cosa: un movimento popolare futuro dovrà rinunciare ad avere un disegno totale di società da realizzare, e quindi rinunciare a rivendicare la sovranità per il popolo, quella sovranità che è sancita dalla nostra stessa Costituzione. Dovrà far tesoro dell'insegnamento di Gaetano Mosca secondo il quale l'unica realtà fondamentale è il conflitto, la lotta di classe fra il popolo e la compagine che detiene realmente il potere. Non si tratterà dunque di costruire per intero una società come noi cittadini la vogliamo, ma di strappare di volta in volta, con la lotta in tutte le sue forme eticamente lecite (manifestazioni, referendum, controcultura tramite i media...) e con la pressione esercitata dalla pubblica opinione, determinate riforme parziali, che equivalgano a “spezzoni” di società modellati sulle nostre esigenze.
Questo programma, questo spirito non è lo stesso che attualmente viene incarnato dal Movimento Cinque Stelle. Infatti il movimento in questione, anche se agisce molto opportunamente “per spezzoni” di impegno politico costruttivo, e si impegna su fronti diversi e separati (le amministrazioni comunali, la creazione di piccole imprese produttive tramite i tagli agli stipendi dei parlamentari, la proposizione di grandi temi che investono l'intera comunità nazionale, come l'uscita dall'euro e le energie alternative), crede pur sempre in un progetto totale di società nuova, liberata dal malaffare e dai torbidi interessi della politica. E si immedesima in questa utopia perché crede fermamente, fortissimamente nella “SOVRANITA' POPOLARE”, ereditando questo principio cardine, sul quale è incardinata la nostra stessa Costituzione.
E qui siamo giunti ad un punto cruciale: la messa in discussione, ed anzi la confutazione, del concetto di SOVRANITA' POPOLARE. E qui, a chi scrive queste note trema la mano. Mi riservo più che mai il beneficio di inventario e di ritrattazione o superamento, circa la “tesi forte” che segue, e ricordo a chi mi legge che lo scopo di tutta questa discussione sulla democrazia non è quello di stabilire dei dogmi o verità definitive, e nemmeno delle verità parziali e contingenti: lo scopo è muovere le acque, un po' in anticipo sui tempi, e buttare una tesi nel calderone della elaborazione del nuovo pensiero politico collettivo: una tesi che (forse) richiamerà una antitesi, come pure delle correzioni; e a questo punto il processo ideativo non sarà ancora, affatto finito. In altre parole: nel pentolone in cui si cucina la nuova visione della politica, finirà anche questo mio ingrediente, il cui sapore dovrà fare i conti con tanti ingredienti diversi, di diversa matrice e provenienza, fino alla cottura ultimata di un piatto assai composito. Quindi, se mi esprimo con un tono assertivo e perentorio, è solo perché con i “forse” non si costruisce nulla, nemmeno un ponteggio. Se una tesi non è espressa con forza, non richiama nemmeno delle antitesi, ed il divenire si blocca.
Riprendiamo dunque il filo: la sovranità popolare per me non esiste, perché non credo in alcuna sovranità. Esiste solo il conflitto, e parziali superamenti, e momentanee armonie.
C'è da star male se si pensa a quanto i Padri Costituenti si siano impegnati per dare la sovranità al popolo. Sia chiaro: il loro sforzo non è stato inutile, è stato un faro di civiltà, che ha promosso una Italia migliore e prodotto tante benefiche conseguenze. Ma la Verità è un'altra cosa. Per capirci: oggi pochi credono nel nazionalismo e molti fanno rivoltare Giuseppe Garibaldi nella tomba, come forse io sto facendo rivoltare Don Dossetti, che pure venero. Ma anche se oggi diverse persone meridionali colte, asseriscono che il Sud d'Italia sarebbe stato meglio se fosse rimasto borbonico, questo non significa che l'unità d'Italia non si dovesse fare, che Garibaldi si sia impegnato per niente (o addirittura per un esito nefasto) e che certi giovani con la camicia rossa siano morti per niente, o che se restavano a casa era meglio per tutti. Attenzione alla sottigliezza: io non credo nel determinismo della storia, sono possibilista. Non credo che le cose non potessero andare diversamente, affinché si generasse questo nostro momento attuale in tutte le sue ricchezze e miserie, affinché fosse generata da generazioni lontane anche questa nostra attuale discussione critica. Credo piuttosto che nella miscela di male e di bene che sempre si realizza, una delle due forze di volta in volta prevalga, e credo che l'uomo di ogni epoca possa distinguere di volta in volta con l'intuizione, con una sorta di olfatto, dove sta il bene (in maggior misura) e dove sta il male (in maggior misura). Ieri era un bene il patriottismo italiano, oggi non lo è più. Ieri era un bene la Resistenza piuttosto che Salò, ieri era un bene la Costituzione, compresi i suoi cardini. Per dirne una soltanto, la sovranità popolare e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge hanno permesso a tanta povera gente di vivere a testa alta e non umiliata, hanno permesso una qualità della vita migliore per i poveri, più importante anche di un maggior benessere materiale, perché non di solo pane vive l'uomo.
Ma la Verità è più forte di tutto, ed ha come cavalier servente il Tempo, che è galantuomo. Ed oggi la Verità grida: LA SOVRANITA' POPOLARE NON E' FARINA DEL MIO SACCO.
Credo utile ribadire i concetti sopra esposti, ricorrendo ad una forma più stringata e ad un esempio: oggi vi sono dei puri idealisti i quali ritengono – giustamente – che la salvezza del genere umano, delle diverse specie animali e dell'habitat comune, sia l'assoluta priorità della nostra epoca. Essi ritengono pure – giustamente – che per realizzare questo obiettivo-missione, sia necessario abbandonare la follia della “crescita” economica e produttiva. Essi ritengono anche – forse giustamente – che per concretare questa idea sia necessario, o sia meglio, dissolvere stati e nazioni e ridursi a vivere in piccole comunità rurali autosufficienti. Questi teorici della decrescita, essendo dei puri idealisti, se fossero vissuti nella prima metà dell'ottocento avrebbero dato o rischiato le loro vite per la causa risorgimentale, per l'unità d'Italia. E non sono in contraddizione: essi non avrebbero voluto padroni ieri, quando si sarebbero ribellati al giogo austro-ungarico (ai tempi in cui questa ribellione era la priorità assoluta), come non ne vogliono oggi (quando si ribellano alla tirannia dei mostri attuali, che ci stanno portando all'estinzione). Allo stesso modo il Davide Selis che nell'immediato dopoguerra avrebbe rivendicato con tutte le sue forze la SOVRANITA' POPOLARE, oggi ne respinge il concetto. Lo stesso discorso si può fare per la democrazia: quella rivendicazione convinta, che era un bene ieri, oggi non lo è più. Abbandonarla, non è cadere in contraddizione: la contraddizione è tale all'interno della stessa fase temporale, non riguarda epoche diverse. Ed oggi sta nascendo una alba nuova, quella della civiltà post-democratica, anche se il ceto intellettuale, vigliacco e testardo come sempre, preferisce restarsene a dormire e a gridare con intransigenza ed isterismo: DEMOCRAZIA! DEMOCRAZIA! DEMOCRAZIA!
(Continua)
Una confidenza si impone: nello scrivere il post precedente ho sofferto molto. Io infatti appartengo a quella minoranza di tipi umani che riesce vivere solo in una democrazia, e che in una dittatura si suiciderebbe, oppure insorgerebbe contro il potere costituito procurandosi la rovina, oppure cadrebbe in depressione. (Naturalmente questo è vero solo se ci confrontiamo con i modelli politico-sociali attuali e con quelli storici, ovvero se manteniamo l'equazione “democrazia = libertà di pensiero”). Ma se il post di cui sopra è stato scritto così controvoglia, e da uno che ha solo da perderci, nel confutare il primato delle democrazie sulle dittature... ai miei occhi il contenuto di verità di quello scritto ne esce corroborato.
Ma proseguiamo: se è vero dunque che le democrazie non sono migliori delle dittature, che cosa dovrà fare un movimento o partito politico, o un movimento di opinione? Perseguire la dittatura? O perseguire la democrazia, cercando di espungerne i tratti “mortiferi”? Né l'una né l'altra cosa: un movimento popolare futuro dovrà rinunciare ad avere un disegno totale di società da realizzare, e quindi rinunciare a rivendicare la sovranità per il popolo, quella sovranità che è sancita dalla nostra stessa Costituzione. Dovrà far tesoro dell'insegnamento di Gaetano Mosca secondo il quale l'unica realtà fondamentale è il conflitto, la lotta di classe fra il popolo e la compagine che detiene realmente il potere. Non si tratterà dunque di costruire per intero una società come noi cittadini la vogliamo, ma di strappare di volta in volta, con la lotta in tutte le sue forme eticamente lecite (manifestazioni, referendum, controcultura tramite i media...) e con la pressione esercitata dalla pubblica opinione, determinate riforme parziali, che equivalgano a “spezzoni” di società modellati sulle nostre esigenze.
Questo programma, questo spirito non è lo stesso che attualmente viene incarnato dal Movimento Cinque Stelle. Infatti il movimento in questione, anche se agisce molto opportunamente “per spezzoni” di impegno politico costruttivo, e si impegna su fronti diversi e separati (le amministrazioni comunali, la creazione di piccole imprese produttive tramite i tagli agli stipendi dei parlamentari, la proposizione di grandi temi che investono l'intera comunità nazionale, come l'uscita dall'euro e le energie alternative), crede pur sempre in un progetto totale di società nuova, liberata dal malaffare e dai torbidi interessi della politica. E si immedesima in questa utopia perché crede fermamente, fortissimamente nella “SOVRANITA' POPOLARE”, ereditando questo principio cardine, sul quale è incardinata la nostra stessa Costituzione.
E qui siamo giunti ad un punto cruciale: la messa in discussione, ed anzi la confutazione, del concetto di SOVRANITA' POPOLARE. E qui, a chi scrive queste note trema la mano. Mi riservo più che mai il beneficio di inventario e di ritrattazione o superamento, circa la “tesi forte” che segue, e ricordo a chi mi legge che lo scopo di tutta questa discussione sulla democrazia non è quello di stabilire dei dogmi o verità definitive, e nemmeno delle verità parziali e contingenti: lo scopo è muovere le acque, un po' in anticipo sui tempi, e buttare una tesi nel calderone della elaborazione del nuovo pensiero politico collettivo: una tesi che (forse) richiamerà una antitesi, come pure delle correzioni; e a questo punto il processo ideativo non sarà ancora, affatto finito. In altre parole: nel pentolone in cui si cucina la nuova visione della politica, finirà anche questo mio ingrediente, il cui sapore dovrà fare i conti con tanti ingredienti diversi, di diversa matrice e provenienza, fino alla cottura ultimata di un piatto assai composito. Quindi, se mi esprimo con un tono assertivo e perentorio, è solo perché con i “forse” non si costruisce nulla, nemmeno un ponteggio. Se una tesi non è espressa con forza, non richiama nemmeno delle antitesi, ed il divenire si blocca.
Riprendiamo dunque il filo: la sovranità popolare per me non esiste, perché non credo in alcuna sovranità. Esiste solo il conflitto, e parziali superamenti, e momentanee armonie.
C'è da star male se si pensa a quanto i Padri Costituenti si siano impegnati per dare la sovranità al popolo. Sia chiaro: il loro sforzo non è stato inutile, è stato un faro di civiltà, che ha promosso una Italia migliore e prodotto tante benefiche conseguenze. Ma la Verità è un'altra cosa. Per capirci: oggi pochi credono nel nazionalismo e molti fanno rivoltare Giuseppe Garibaldi nella tomba, come forse io sto facendo rivoltare Don Dossetti, che pure venero. Ma anche se oggi diverse persone meridionali colte, asseriscono che il Sud d'Italia sarebbe stato meglio se fosse rimasto borbonico, questo non significa che l'unità d'Italia non si dovesse fare, che Garibaldi si sia impegnato per niente (o addirittura per un esito nefasto) e che certi giovani con la camicia rossa siano morti per niente, o che se restavano a casa era meglio per tutti. Attenzione alla sottigliezza: io non credo nel determinismo della storia, sono possibilista. Non credo che le cose non potessero andare diversamente, affinché si generasse questo nostro momento attuale in tutte le sue ricchezze e miserie, affinché fosse generata da generazioni lontane anche questa nostra attuale discussione critica. Credo piuttosto che nella miscela di male e di bene che sempre si realizza, una delle due forze di volta in volta prevalga, e credo che l'uomo di ogni epoca possa distinguere di volta in volta con l'intuizione, con una sorta di olfatto, dove sta il bene (in maggior misura) e dove sta il male (in maggior misura). Ieri era un bene il patriottismo italiano, oggi non lo è più. Ieri era un bene la Resistenza piuttosto che Salò, ieri era un bene la Costituzione, compresi i suoi cardini. Per dirne una soltanto, la sovranità popolare e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge hanno permesso a tanta povera gente di vivere a testa alta e non umiliata, hanno permesso una qualità della vita migliore per i poveri, più importante anche di un maggior benessere materiale, perché non di solo pane vive l'uomo.
Ma la Verità è più forte di tutto, ed ha come cavalier servente il Tempo, che è galantuomo. Ed oggi la Verità grida: LA SOVRANITA' POPOLARE NON E' FARINA DEL MIO SACCO.
Credo utile ribadire i concetti sopra esposti, ricorrendo ad una forma più stringata e ad un esempio: oggi vi sono dei puri idealisti i quali ritengono – giustamente – che la salvezza del genere umano, delle diverse specie animali e dell'habitat comune, sia l'assoluta priorità della nostra epoca. Essi ritengono pure – giustamente – che per realizzare questo obiettivo-missione, sia necessario abbandonare la follia della “crescita” economica e produttiva. Essi ritengono anche – forse giustamente – che per concretare questa idea sia necessario, o sia meglio, dissolvere stati e nazioni e ridursi a vivere in piccole comunità rurali autosufficienti. Questi teorici della decrescita, essendo dei puri idealisti, se fossero vissuti nella prima metà dell'ottocento avrebbero dato o rischiato le loro vite per la causa risorgimentale, per l'unità d'Italia. E non sono in contraddizione: essi non avrebbero voluto padroni ieri, quando si sarebbero ribellati al giogo austro-ungarico (ai tempi in cui questa ribellione era la priorità assoluta), come non ne vogliono oggi (quando si ribellano alla tirannia dei mostri attuali, che ci stanno portando all'estinzione). Allo stesso modo il Davide Selis che nell'immediato dopoguerra avrebbe rivendicato con tutte le sue forze la SOVRANITA' POPOLARE, oggi ne respinge il concetto. Lo stesso discorso si può fare per la democrazia: quella rivendicazione convinta, che era un bene ieri, oggi non lo è più. Abbandonarla, non è cadere in contraddizione: la contraddizione è tale all'interno della stessa fase temporale, non riguarda epoche diverse. Ed oggi sta nascendo una alba nuova, quella della civiltà post-democratica, anche se il ceto intellettuale, vigliacco e testardo come sempre, preferisce restarsene a dormire e a gridare con intransigenza ed isterismo: DEMOCRAZIA! DEMOCRAZIA! DEMOCRAZIA!
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Davide Selis- Messaggi : 48
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Avevamo messo le mani avanti, nell'ipotizzare la fine ormai prossima della democrazia come ideale socialmente condiviso: si era prefigurata una fase di interregno. Si era detto più o meno: prima che nuove categorie mentali e culturali si siano generate, ed impiantate stabilmente nelle menti dei cittadini, anche alcuni spiriti critici che coscientemente si adoperano per il superamento del modo di pensare democratico, saranno costretti ad invocare e rivendicare la democrazia, per non essere sopraffatti nella competizione politica e sociale. Io credo che lo stesso tipo di fenomeno, una apparente contraddizione ed ipocrisia, avverrà riguardo all'idea di sovranità: se prenderanno piede la utopia della decrescita e l'ispirazione “no-global”, inizialmente sarà necessario rivendicare la sovranità degli antichi stati-nazione per contrapporsi agli stati continentali, ed uscire da questi, e per uscire dal mega-circuito del mercato globale; se l'ideale della decrescita continuerà poi ad attuarsi progressivamente, secondo il lucido sogno di Maurizio Pallante, si passerà probabilmente a rivendicare la sovranità, non più statale ma regionale, e quindi comunale, per giungere ad attribuire sovranità alle piccole comunità locali-rurali, a quei monasteri laici autosufficienti di cui scrive Pallante. Ma noi “bidellanti” porteremo la croce ancora una volta, se saremo vivi: anche nei momenti di cambiamento storico epocale che stiamo ipotizzando, anche quando la passione collettiva sarà fortissima (ed è bene che sia tanto forte, per superare i difficilissimi ostacoli e le forze contrarie al cambiamento, e salvare così la specie e le specie), pur dialogando con pochi e rimanendo per lo più chiusi in noi stessi... continueremo a servire e coltivare la Verità... ovvero a mantenere chiara, e tentar di tramandare una idea: LA SOVRANITA' NON ESISTE. E' UN PREZIOSO, FORSE INSOSTITUIBILE COLLANTE PER LA COESIONE SOCIALE E L'IDENTITA' COLLETTIVA. MA DI PER SE' NON ESISTE.
….................................................................................................................................................
Si è fatto riferimento nel post precedente ad una capacità presente nell'uomo, da sempre attiva ed attivata per le scelte ideologiche e politiche: una certa intuizione del bene, una scelta dei valori del tutto prelogica, un senso di orientamento nativo e primitivo riguardante le opzioni di valore. Abbiamo chiamato “olfatto” (rigorosamente tra virgolette) questa attitudine umana, che è uno dei motori più potenti della storia. Su questo punto, ci ha manifestato perplessità un lettore fedele, uno spirito illuminato che segue con attenzione e partecipazione, finanche emotiva, lo snodarsi di questo nostro tema. Questo amico trova troppo debole e vago il concetto analogico di “olfatto”, per incardinarvi la storia dell'uomo e lo sviluppo futuribile dell'umanità; per affidare a un ente così vago il futuro e la salvezza del genere umano. E qui, probabilmente la colpa è nostra. Di non aver chiarito bene che non stiamo elaborando una dottrina politica. Questa, richiederebbe di certo un fondamento più robusto e solido. Ma lo scopo prevalente di questo elaborato è criticare il presente, e prefigurare o dare una sbirciata al futuro, da un punto di vista nuovo ed insolito. A questo sforzo si sovrappone una certa tesi, o “pars destruens”, che ha lo scopo di favorire ed accelerare l'avvento del nuovo (come Francesco Bacone volle distruggere alcuni pregiudizi di pensiero detti”idola”, il nostro “idolum” da abbattere è quello della “democrazia”), e una pars “construens” consapevolmente vaga e debole, che coincide con la “sbirciata al futuro” di cui sopra. Torniamo al primo dei tre alvei indicati: le scelte ideologiche e politiche, e più in generale quelle valutative, l'umanità le ha sempre fatte sotto la spinta di due fattori: 1) una preesistente opzione ideologica; 2) l'”olfatto”, di cui sopra. Oggi, sta cadendo l'ultima ideologia, ovvero la “democrazia” (che naturalmente non è mai stata cosciente di essere una ideologia, come succede a tutte le ideologie: esse credono di essere qualcosa di più obiettivo ed universalmente valido), e noi nel nostro piccolo la stiamo aiutando a cadere. Per il momento, resta in campo solo l'”olfatto”, per guidare l'uomo nella cernita del bene e del male.
(Continua)
Avevamo messo le mani avanti, nell'ipotizzare la fine ormai prossima della democrazia come ideale socialmente condiviso: si era prefigurata una fase di interregno. Si era detto più o meno: prima che nuove categorie mentali e culturali si siano generate, ed impiantate stabilmente nelle menti dei cittadini, anche alcuni spiriti critici che coscientemente si adoperano per il superamento del modo di pensare democratico, saranno costretti ad invocare e rivendicare la democrazia, per non essere sopraffatti nella competizione politica e sociale. Io credo che lo stesso tipo di fenomeno, una apparente contraddizione ed ipocrisia, avverrà riguardo all'idea di sovranità: se prenderanno piede la utopia della decrescita e l'ispirazione “no-global”, inizialmente sarà necessario rivendicare la sovranità degli antichi stati-nazione per contrapporsi agli stati continentali, ed uscire da questi, e per uscire dal mega-circuito del mercato globale; se l'ideale della decrescita continuerà poi ad attuarsi progressivamente, secondo il lucido sogno di Maurizio Pallante, si passerà probabilmente a rivendicare la sovranità, non più statale ma regionale, e quindi comunale, per giungere ad attribuire sovranità alle piccole comunità locali-rurali, a quei monasteri laici autosufficienti di cui scrive Pallante. Ma noi “bidellanti” porteremo la croce ancora una volta, se saremo vivi: anche nei momenti di cambiamento storico epocale che stiamo ipotizzando, anche quando la passione collettiva sarà fortissima (ed è bene che sia tanto forte, per superare i difficilissimi ostacoli e le forze contrarie al cambiamento, e salvare così la specie e le specie), pur dialogando con pochi e rimanendo per lo più chiusi in noi stessi... continueremo a servire e coltivare la Verità... ovvero a mantenere chiara, e tentar di tramandare una idea: LA SOVRANITA' NON ESISTE. E' UN PREZIOSO, FORSE INSOSTITUIBILE COLLANTE PER LA COESIONE SOCIALE E L'IDENTITA' COLLETTIVA. MA DI PER SE' NON ESISTE.
….................................................................................................................................................
Si è fatto riferimento nel post precedente ad una capacità presente nell'uomo, da sempre attiva ed attivata per le scelte ideologiche e politiche: una certa intuizione del bene, una scelta dei valori del tutto prelogica, un senso di orientamento nativo e primitivo riguardante le opzioni di valore. Abbiamo chiamato “olfatto” (rigorosamente tra virgolette) questa attitudine umana, che è uno dei motori più potenti della storia. Su questo punto, ci ha manifestato perplessità un lettore fedele, uno spirito illuminato che segue con attenzione e partecipazione, finanche emotiva, lo snodarsi di questo nostro tema. Questo amico trova troppo debole e vago il concetto analogico di “olfatto”, per incardinarvi la storia dell'uomo e lo sviluppo futuribile dell'umanità; per affidare a un ente così vago il futuro e la salvezza del genere umano. E qui, probabilmente la colpa è nostra. Di non aver chiarito bene che non stiamo elaborando una dottrina politica. Questa, richiederebbe di certo un fondamento più robusto e solido. Ma lo scopo prevalente di questo elaborato è criticare il presente, e prefigurare o dare una sbirciata al futuro, da un punto di vista nuovo ed insolito. A questo sforzo si sovrappone una certa tesi, o “pars destruens”, che ha lo scopo di favorire ed accelerare l'avvento del nuovo (come Francesco Bacone volle distruggere alcuni pregiudizi di pensiero detti”idola”, il nostro “idolum” da abbattere è quello della “democrazia”), e una pars “construens” consapevolmente vaga e debole, che coincide con la “sbirciata al futuro” di cui sopra. Torniamo al primo dei tre alvei indicati: le scelte ideologiche e politiche, e più in generale quelle valutative, l'umanità le ha sempre fatte sotto la spinta di due fattori: 1) una preesistente opzione ideologica; 2) l'”olfatto”, di cui sopra. Oggi, sta cadendo l'ultima ideologia, ovvero la “democrazia” (che naturalmente non è mai stata cosciente di essere una ideologia, come succede a tutte le ideologie: esse credono di essere qualcosa di più obiettivo ed universalmente valido), e noi nel nostro piccolo la stiamo aiutando a cadere. Per il momento, resta in campo solo l'”olfatto”, per guidare l'uomo nella cernita del bene e del male.
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Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Ancora una volta mi ha scritto in privato un amico, anch'egli fedele lettore di queste note, dicendomi: “...Resta in me, e penso anche in altri lettori, una specie di horror vacui relativo alla mancanza di una proposta sistematica, strutturata, che vada a sostituirsi ai modelli di democrazia e sovranità....”. Certo, carissimo, questo “horror vacui” è molto forte pure in me, e sopportare questo peso è in certi casi il destino delle avanguardie, dei fautori, dei pionieri di una svolta nella mentalità collettiva, i quali sono portatori di una “pars destruens” preponderante rispetto alla “pars construens” dell'orientamento nuovo che rappresentano: quest'ultima infatti sarà il frutto di uno sforzo partecipato, e non di un singolo conato individuale; avrà bisogno inoltre della sua naturale palestra di tentativi ed errori. Ma nella pratica, nella vita vissuta degli individui e delle masse, nessun “horror vacui” sarà mai presente a togliere la tranquillità a nessuno. La nuova rappresentazione sociale del bene politico infatti si farà strada gradualmente, e questi “gradi” saranno tutti “bocconi” di cibo mentale per le masse, bocconi così nuovi e sconvolgenti che nessun individuo potrà sentirsi orfano, o privo di pensiero: ogni novità ideologica da sempre abbaglia le menti in modo tale, da non far percepire alcun vuoto cognitivo. Ed inoltre, la nuova ideologia o rappresentazione collettiva, per lungo tempo convivrà “fianco a fianco” con il vecchio ideale democratico, senza che la maggior parte degli individui avverta la contraddizione o la focalizzi. Il vecchio abito mentale, detto “democrazia”, verrà deposto e consegnato al guardaroba (ovvero alla storia), solo quando la gente avrà del tutto indossato il nuovo, e si sentirà ben vestita e ben coperta dai capelli ai piedi. Un processo analogo avvenne al tempo della mitica rivoluzione francese:
questa, lungi dall'essere un moto spontaneo delle masse popolari affamate, si poté fare materialmente solo come ultimo atto, e solo dopo che un ceto colto, la borghesia, ebbe sostituito del tutto in sé medesima, le vecchie categorie mentali con le nuove (da essa stessa create ed elaborate). Quale pensiero, quale mentalità comune ci sarà dopo il tramonto definitivo degli ideali della democrazia e della sovranità popolare? Non siamo tenuti ad essere dei profeti fino a questo punto: ci sentiamo però di escludere che l'alba della civiltà nuova sarà quella preconizzata da John Dewey. Questi, forte della lezione del marxismo come lo siamo tutti noi, pensatori post-moderni (la sociologia della conoscenza marxista ha avuto infatti il pregio di smascherare, demistificare tutte le ideologie -ma non se stessa- nel loro tratto fondamentale: il carattere di verità parziali, generate da interessi di parte, che si arrogano la pretesa di essere verità totali, ovvero la verità definitiva), ma associandola al suo spirito americano migliorista e liberale-liberista, giunse ad una siffatta elaborazione (si veda “Ricostruzione Filosofica”): se le ideologie sono state fino ad ora la bandiera, il programma e la difesa di determinati interessi di parte, mentre credevano e facevano credere di essere LA VERITA', da oggi in poi si cambia. Quello che le ideologie sono sempre state inconsapevolmente, ovvero la tutela di interessi particolari, devono esserlo da oggi in poi consapevolmente e alla luce del sole. Dalla loro competizione, civile, libera e pacifica (“democratica”), scaturirà il nuovo ordine sociale. L'auspicio di Dewey non si è avverato: anche ideali deboli come la socialdemocrazia o la stessa “democrazia”, hanno avuto bisogno di considerarsi e accreditarsi come formule universali, per la giustizia ed il benessere, per il bene del genere umano. Ed è pure opportuno che la speranza di Dewey non si realizzi, perché l'uomo ha bisogno di sognare, ha bisogno come idealità di soluzioni totali e totalitarie. Ne è prova la strada fatta da un utopista come Beppe Grillo, che ha saputo parlare ai cuori proprio perché è un utopista, crede e fa credere che basti affidarsi all'onestà e alla volontà popolare, nonché ai mezzi odierni di consultazione utilizzati per acclarare la medesima volontà, per realizzare un eden. Che basti angosciare i mercati e la finanza per vivere felici. Che basti realizzare la decrescita, cominciando con l'uscita dall'euro e la ritrattazione del debito pubblico, per vivere felici. Con questa carica di utopismo Grillo ha fondato un movimento che sta cambiando (per ora in meglio) la società italiana. Senza questa carica, affidandosi al solo pragmatismo, non avrebbe ottenuto simili risultati. Il carro grillino andrà prima o poi a sbattere contro un muro, o più muri, e si capovolgerà o frantumerà, con un senso di lutto e di tragedia per (quasi) tutti coloro che vi erano saliti e vivevano l'euforia del successo, e delle conquiste sociali nuove e progressive. Ma senza utopia, senza ideologismo, senza un falso assoluto, senza sognare, i risultati importanti di rinnovamento e di risanamento fin qui conseguiti , e quelli a venire, ancora più belli (io credo e spero), non ci sarebbero stati/non ci sarebbero.
…............................................................................................................................................................ Vi è una recentissima novità politica in Europa: il movimento DIEM 25 di Yanis Varoufakis. Il suo programma è poco chiaro, se non che vuole dissolvere la vecchia Europa comunitaria e fondarne una nuova, basata sulla democrazia anziché sullo strapotere della finanza. E' difficile anche per noi, resistere al fascino di Varoufakis, e forse sceglieremo di non resistere, e per vivere meglio gli ultimi anni di vita attiva (e/o per morire meglio) e per mandare a cuccia il mostruoso babau che sta sbranando l'Italia, non sazio della Grecia (e che poi sbranerà la Francia), ci metteremo a gridare con Varoufakis: “DEMOCRAZIA, DEMOCRAZIA”. Ma lo faremo senza crederci, come non ci crede (o non ci crede totalmente) lo stesso Varoufakis (si veda il post numero 14 di questa lunga rassegna).
(Continua)
Ancora una volta mi ha scritto in privato un amico, anch'egli fedele lettore di queste note, dicendomi: “...Resta in me, e penso anche in altri lettori, una specie di horror vacui relativo alla mancanza di una proposta sistematica, strutturata, che vada a sostituirsi ai modelli di democrazia e sovranità....”. Certo, carissimo, questo “horror vacui” è molto forte pure in me, e sopportare questo peso è in certi casi il destino delle avanguardie, dei fautori, dei pionieri di una svolta nella mentalità collettiva, i quali sono portatori di una “pars destruens” preponderante rispetto alla “pars construens” dell'orientamento nuovo che rappresentano: quest'ultima infatti sarà il frutto di uno sforzo partecipato, e non di un singolo conato individuale; avrà bisogno inoltre della sua naturale palestra di tentativi ed errori. Ma nella pratica, nella vita vissuta degli individui e delle masse, nessun “horror vacui” sarà mai presente a togliere la tranquillità a nessuno. La nuova rappresentazione sociale del bene politico infatti si farà strada gradualmente, e questi “gradi” saranno tutti “bocconi” di cibo mentale per le masse, bocconi così nuovi e sconvolgenti che nessun individuo potrà sentirsi orfano, o privo di pensiero: ogni novità ideologica da sempre abbaglia le menti in modo tale, da non far percepire alcun vuoto cognitivo. Ed inoltre, la nuova ideologia o rappresentazione collettiva, per lungo tempo convivrà “fianco a fianco” con il vecchio ideale democratico, senza che la maggior parte degli individui avverta la contraddizione o la focalizzi. Il vecchio abito mentale, detto “democrazia”, verrà deposto e consegnato al guardaroba (ovvero alla storia), solo quando la gente avrà del tutto indossato il nuovo, e si sentirà ben vestita e ben coperta dai capelli ai piedi. Un processo analogo avvenne al tempo della mitica rivoluzione francese:
questa, lungi dall'essere un moto spontaneo delle masse popolari affamate, si poté fare materialmente solo come ultimo atto, e solo dopo che un ceto colto, la borghesia, ebbe sostituito del tutto in sé medesima, le vecchie categorie mentali con le nuove (da essa stessa create ed elaborate). Quale pensiero, quale mentalità comune ci sarà dopo il tramonto definitivo degli ideali della democrazia e della sovranità popolare? Non siamo tenuti ad essere dei profeti fino a questo punto: ci sentiamo però di escludere che l'alba della civiltà nuova sarà quella preconizzata da John Dewey. Questi, forte della lezione del marxismo come lo siamo tutti noi, pensatori post-moderni (la sociologia della conoscenza marxista ha avuto infatti il pregio di smascherare, demistificare tutte le ideologie -ma non se stessa- nel loro tratto fondamentale: il carattere di verità parziali, generate da interessi di parte, che si arrogano la pretesa di essere verità totali, ovvero la verità definitiva), ma associandola al suo spirito americano migliorista e liberale-liberista, giunse ad una siffatta elaborazione (si veda “Ricostruzione Filosofica”): se le ideologie sono state fino ad ora la bandiera, il programma e la difesa di determinati interessi di parte, mentre credevano e facevano credere di essere LA VERITA', da oggi in poi si cambia. Quello che le ideologie sono sempre state inconsapevolmente, ovvero la tutela di interessi particolari, devono esserlo da oggi in poi consapevolmente e alla luce del sole. Dalla loro competizione, civile, libera e pacifica (“democratica”), scaturirà il nuovo ordine sociale. L'auspicio di Dewey non si è avverato: anche ideali deboli come la socialdemocrazia o la stessa “democrazia”, hanno avuto bisogno di considerarsi e accreditarsi come formule universali, per la giustizia ed il benessere, per il bene del genere umano. Ed è pure opportuno che la speranza di Dewey non si realizzi, perché l'uomo ha bisogno di sognare, ha bisogno come idealità di soluzioni totali e totalitarie. Ne è prova la strada fatta da un utopista come Beppe Grillo, che ha saputo parlare ai cuori proprio perché è un utopista, crede e fa credere che basti affidarsi all'onestà e alla volontà popolare, nonché ai mezzi odierni di consultazione utilizzati per acclarare la medesima volontà, per realizzare un eden. Che basti angosciare i mercati e la finanza per vivere felici. Che basti realizzare la decrescita, cominciando con l'uscita dall'euro e la ritrattazione del debito pubblico, per vivere felici. Con questa carica di utopismo Grillo ha fondato un movimento che sta cambiando (per ora in meglio) la società italiana. Senza questa carica, affidandosi al solo pragmatismo, non avrebbe ottenuto simili risultati. Il carro grillino andrà prima o poi a sbattere contro un muro, o più muri, e si capovolgerà o frantumerà, con un senso di lutto e di tragedia per (quasi) tutti coloro che vi erano saliti e vivevano l'euforia del successo, e delle conquiste sociali nuove e progressive. Ma senza utopia, senza ideologismo, senza un falso assoluto, senza sognare, i risultati importanti di rinnovamento e di risanamento fin qui conseguiti , e quelli a venire, ancora più belli (io credo e spero), non ci sarebbero stati/non ci sarebbero.
…............................................................................................................................................................ Vi è una recentissima novità politica in Europa: il movimento DIEM 25 di Yanis Varoufakis. Il suo programma è poco chiaro, se non che vuole dissolvere la vecchia Europa comunitaria e fondarne una nuova, basata sulla democrazia anziché sullo strapotere della finanza. E' difficile anche per noi, resistere al fascino di Varoufakis, e forse sceglieremo di non resistere, e per vivere meglio gli ultimi anni di vita attiva (e/o per morire meglio) e per mandare a cuccia il mostruoso babau che sta sbranando l'Italia, non sazio della Grecia (e che poi sbranerà la Francia), ci metteremo a gridare con Varoufakis: “DEMOCRAZIA, DEMOCRAZIA”. Ma lo faremo senza crederci, come non ci crede (o non ci crede totalmente) lo stesso Varoufakis (si veda il post numero 14 di questa lunga rassegna).
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Come detto a più riprese, esiste un nucleo di lettori, nella moltitudine che a sorpresa sta seguendo queste note, che mi comunicano in privato le loro impressioni, opinioni, riserve e obiezioni su quanto vado esternando. Questa volta sono stato criticato per aver offerto un paradigma troppo astratto e non più attuale, nel tentare di definire il prossimo futuro delle ideologie, ovvero il tramonto dell'ideale democratico nel pensiero e nel sentimento comune, e la sua sostituzione con una ideologia nuova. Mi si dice che non ho la percezione della gravità del tempo in cui viviamo, del collasso che si sta per verificare, collasso dell'ambiente ovvero dell'intero pianeta che ci ospita (e presto quindi della stessa umanità e delle altre specie viventi), se non si adottano rimedi drastici e bruschi. Così drastici e bruschi che non permetteranno uno sviluppo naturale e graduale delle dinamiche di “ricambio ideologico” che ho tratteggiato più sopra. Ragazzi, temo davvero di aver sbagliato, e correggerò il tiro con questo post. Ma consentite ad un uomo che non è più tanto lontano dall'ultimo traguardo, di sognare una conclusione dolce, di sperare che il paradigma astratto, del ricambio ideologico naturale e non traumatico, si possa coniugare per un'ultima volta (ovvero, che vi sia ancora qualche decennio di *relativa* tranquillità, prima della fase più drammatica, degli aut aut tra sopravvivere e morire). Ammetto comunque che è assai più probabile che questo ultimo tempo di “normalità” non vi sia, e che presto saremo incalzati dalla necessità di scelte di vita nuove e sconvolgenti. E qui riemerge il nostro filo conduttore, che adesso si impone da sé più che mai. Si impone infatti l'interrogativo se le nuove scelte possano essere effettuate “democraticamente” , se possano essere fatte poco o tanto dal popolo (o, più semplicemente, simulando che sia il popolo a compierle, come finora è avvenuto per gran parte delle deliberazioni “democratiche”). Gli antichi romani contemplavano una dittatura illuminata, come soluzione di emergenza per gestire le situazioni di crisi e di difficoltà straordinarie, ed avevano ideato precise garanzie costituzionali per limitare nel tempo questo strapotere conferito ad un singolo. Io credo che i nostri antenati avessero ragione, e che il loro insegnamento vada rispolverato per affrontare i tempi nuovi che ci attendono, tempi che saranno i più difficili della storia. La “democrazia”, che esista veramente o meno, è una zavorra troppo pesante ed un rischio troppo grande, quando si decide della sopravvivenza della specie e del suo habitat. Sbaglia per me Beppe Grillo, che è tutto infarcito di sane utopie, ma anche, purtroppo, di utopia democratica, sbaglia quando vuole affidare al popolo le scelte per la salvezza del popolo stesso. Anche i fautori più strenui e più convinti della democrazia infatti non possono non ammettere che questo valore è secondo e non primo, rispetto al valore vita. Tale assunto, per me fu una delle conquiste più drammatiche della mia esistenza, una conquista che feci per così dire “a sproposito”, ma che mantiene il suo contenuto di verità inconfutabile. Questa conquista di pensiero fu assai sconvolgente, per me che sono libertario fino al midollo, che odio e aborriscco le dittature con tutte le mie forze. Falliva l'eroico regime cileno di Salvador Allende, per il quale io giovinetto avevo parteggiato con tutta la passione di cui ero capace. Avevo sognato allora una Italia cilena, che praticasse con determinazione la giustizia sociale e la promozione/emancipazione dei ceti più deboli, senza per questo abolire le libertà individuali né quelle politiche, così come avveniva nella grande avventura cilena. Ma le cose là andavano sempre peggio, e ad un certo punto la situazione fu fuori controllo. Tutti i media di allora mi rappresentavano un paese alla fame, con violenza dilagante e paura quotidiana... un paese sull'orlo del cannibalismo, per la sopravvivenza dei singoli. In questa situazione, vera o falsa che fosse, intervenne l'esercito con il colpo di stato. E la mia anima si divise in due: la parte emotiva continuava a tifare per la sinistra cilena, per la libertà e per la povera gente, mentre la parte razionale concepiva che PIUTTOSTO CHE LA FAME, LA DISPERAZIONE ED IL CANNIBALISMO PER LE STRADE, E' MEGLIO UNA PROVVISORIA DITTATURA. Salviamo la vita sopra ogni altro valore, verrà poi il momento di recuperare la libertà, la dignità e la giustizia.
(Continua)
Come detto a più riprese, esiste un nucleo di lettori, nella moltitudine che a sorpresa sta seguendo queste note, che mi comunicano in privato le loro impressioni, opinioni, riserve e obiezioni su quanto vado esternando. Questa volta sono stato criticato per aver offerto un paradigma troppo astratto e non più attuale, nel tentare di definire il prossimo futuro delle ideologie, ovvero il tramonto dell'ideale democratico nel pensiero e nel sentimento comune, e la sua sostituzione con una ideologia nuova. Mi si dice che non ho la percezione della gravità del tempo in cui viviamo, del collasso che si sta per verificare, collasso dell'ambiente ovvero dell'intero pianeta che ci ospita (e presto quindi della stessa umanità e delle altre specie viventi), se non si adottano rimedi drastici e bruschi. Così drastici e bruschi che non permetteranno uno sviluppo naturale e graduale delle dinamiche di “ricambio ideologico” che ho tratteggiato più sopra. Ragazzi, temo davvero di aver sbagliato, e correggerò il tiro con questo post. Ma consentite ad un uomo che non è più tanto lontano dall'ultimo traguardo, di sognare una conclusione dolce, di sperare che il paradigma astratto, del ricambio ideologico naturale e non traumatico, si possa coniugare per un'ultima volta (ovvero, che vi sia ancora qualche decennio di *relativa* tranquillità, prima della fase più drammatica, degli aut aut tra sopravvivere e morire). Ammetto comunque che è assai più probabile che questo ultimo tempo di “normalità” non vi sia, e che presto saremo incalzati dalla necessità di scelte di vita nuove e sconvolgenti. E qui riemerge il nostro filo conduttore, che adesso si impone da sé più che mai. Si impone infatti l'interrogativo se le nuove scelte possano essere effettuate “democraticamente” , se possano essere fatte poco o tanto dal popolo (o, più semplicemente, simulando che sia il popolo a compierle, come finora è avvenuto per gran parte delle deliberazioni “democratiche”). Gli antichi romani contemplavano una dittatura illuminata, come soluzione di emergenza per gestire le situazioni di crisi e di difficoltà straordinarie, ed avevano ideato precise garanzie costituzionali per limitare nel tempo questo strapotere conferito ad un singolo. Io credo che i nostri antenati avessero ragione, e che il loro insegnamento vada rispolverato per affrontare i tempi nuovi che ci attendono, tempi che saranno i più difficili della storia. La “democrazia”, che esista veramente o meno, è una zavorra troppo pesante ed un rischio troppo grande, quando si decide della sopravvivenza della specie e del suo habitat. Sbaglia per me Beppe Grillo, che è tutto infarcito di sane utopie, ma anche, purtroppo, di utopia democratica, sbaglia quando vuole affidare al popolo le scelte per la salvezza del popolo stesso. Anche i fautori più strenui e più convinti della democrazia infatti non possono non ammettere che questo valore è secondo e non primo, rispetto al valore vita. Tale assunto, per me fu una delle conquiste più drammatiche della mia esistenza, una conquista che feci per così dire “a sproposito”, ma che mantiene il suo contenuto di verità inconfutabile. Questa conquista di pensiero fu assai sconvolgente, per me che sono libertario fino al midollo, che odio e aborriscco le dittature con tutte le mie forze. Falliva l'eroico regime cileno di Salvador Allende, per il quale io giovinetto avevo parteggiato con tutta la passione di cui ero capace. Avevo sognato allora una Italia cilena, che praticasse con determinazione la giustizia sociale e la promozione/emancipazione dei ceti più deboli, senza per questo abolire le libertà individuali né quelle politiche, così come avveniva nella grande avventura cilena. Ma le cose là andavano sempre peggio, e ad un certo punto la situazione fu fuori controllo. Tutti i media di allora mi rappresentavano un paese alla fame, con violenza dilagante e paura quotidiana... un paese sull'orlo del cannibalismo, per la sopravvivenza dei singoli. In questa situazione, vera o falsa che fosse, intervenne l'esercito con il colpo di stato. E la mia anima si divise in due: la parte emotiva continuava a tifare per la sinistra cilena, per la libertà e per la povera gente, mentre la parte razionale concepiva che PIUTTOSTO CHE LA FAME, LA DISPERAZIONE ED IL CANNIBALISMO PER LE STRADE, E' MEGLIO UNA PROVVISORIA DITTATURA. Salviamo la vita sopra ogni altro valore, verrà poi il momento di recuperare la libertà, la dignità e la giustizia.
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Davide Selis- Messaggi : 48
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA E SULLA SUA FINE
Continua:
Il dramma di coscienza evocato nell'ultimo post, si generò nel mio animo a sproposito, per effetto di una determinata crisi dell'economia che non era affatto “intrinsecamente necessaria” né prodotta dalle dinamiche interne e “spontanee” del sistema politico-sociale in cui avveniva, bensì era provocata da blocchi, pressioni ed infiltrazioni di una super-potenza straniera, la quale intendeva far crollare il regime socialista cileno: l'embargo economico di cui soffriva il Cile allora, non era evidente se non a chi lo pativa; e solo in seguito si sarebbe saputo che certi movimenti di protesta esplosiva ed ingestibile, come la interminabile agitazione dei camionisti cileni, erano commissionati e pagati dagli Stati Uniti. Chissà quante altre cose vi furono allora che io non conosco, nella mia spaventosa ignoranza; chissà quante e quali altre nessuno ancora conosce. La fame del popolo non era determinata dalle “scellerate riforme” di tipo socialista, come si faceva credere tramite i giornali, ma era imposta dall'esterno.
Se io avessi saputo queste cose al tempo del conflitto psicologico di cui sopra, lo stesso dibattimento interiore non vi sarebbe stato: è infatti per me un ideale di vita e un convincimento profondo, che alla violenza non ci si debba sottomettere; ed inoltre, se anche accantoniamo la democrazia come stella polare e come valore assoluto (fu allora, dicevo, che la stessa democrazia mi apparve in tutta la sua relatività, dal punto di vista assiologico), rimangono vivi più che mai, e più ancora di prima, gli ideali che devono colmare il vuoto e rassicurare la coscienza individuale: la non-violenza, il rispetto delle persone, la solidarietà e la giustizia. La dittatura di Pinochet calpestò queste istanze, oltre a calpestare la democrazia. Pinochet, appunto: mentre compiva il colpo di stato, non si sapeva ancora con certezza se fosse “cattivo”, o fosse un patriota e volesse soltanto salvare il suo popolo dalla fame, dalla disperazione e dal cannibalismo, tramite una presa del potere dettata dalla contingenza, e provvisoria. La mancanza di una impossibile conoscenza preventiva, teneva aperto il mio conflitto, del quale ho riferito.
Siffatta tensione interiore si generò a sproposito, come dicevo all'inizio, ma dalla vita si impara sempre qualcosa, anche dalle esperienze sbagliate e dalle valutazioni inesatte date in buona fede. Se la crisi cilena fosse stata determinata da fattori intrinseci alle scelte di politica economica e sociale compiute dal governo Allende, e se Pinochet non si fosse mai macchiato di uccisioni, torture ed altre efferate violenze ai danni degli oppositori e di povera gente inerme, quest'ultimo sarebbe stato un patriota e la sua dittatura sarebbe da approvare. Ma così non fu per due motivi, e ne basterebbe uno solo, uno qualsiasi dei due, per maledire il tiranno cileno; ma ve ne sono addirittura due.
Facciamo adesso un paragone tra la crisi del Cile di Allende e la crisi dell'intera umanità attuale. Una traslazione non è possibile, per i motivi tratteggiati fin qui. La crisi cilena era imposta con violenza estrinseca, mentre quella attuale ha una matrice che valutiamo intrinseca: il venir meno delle risorse materiali, e il deterioramento dell'ambiente, a causa della “crescita” economica. Nel post che precede, abbiamo valutato forse opportuna e forse addirittura necessaria, una “dittatura illuminata” per uscire dalla crisi attuale, per salvare il pianeta e le specie viventi, noi compresi. E qui sorge una difficoltà: come evitare che prenda il potere un salvatore della Patria che si rivelerà in seguito un mostro, come fu il caso di Pinochet (che a tanti appariva buono, quando insorse)?
Ci siamo appigliati nel post precedente ad una prassi della antica Roma, che era garantita dalla stessa costituzione della Repubblica romana: eleggere un dittatore in caso di difficoltà straordinarie nella vita della società, per risolvere quelle crisi. Alcuni storici ci dicono che questa modalità di dittatura era elevata addirittura al rango di “magistratura straordinaria”; era una funzione comunque costretta entro precisi limiti temporali: il dittatore restava in carica fino al superamento della situazione critica per la quale era stato eletto, e comunque non oltre sei mesi di tempo. Volendo ereditare dai nostri saggi antenati un simile meccanismo salvifico, del quale abbiamo forse bisogno, troveremmo due ostacoli, due barriere che appaiono a prima vista insormontabili: la nostra attuale Costituzione ed il nostro attuale sentire comune. Sono due motivi distinti ma correlati.
La Costituzione è infarcita del sentire comune “democratico”, dal quale deriva come reazione al fascismo, e a sua volta interagisce ed alimenta questa sensibilità; con il suo apparato concettuale inoltre veste la stessa sensibilità. Apparirà strano, forse contraddittorio, che proprio di questi tempi, mentre siamo tutti impegnati a difendere la Costituzione da tentativi di cambiamento operati dall'attuale potere politico... in questa sede, in questa nicchia di pensiero, suggeriamo invece la necessità di superare nei fondamenti la stessa Carta, la quale è un inno alla democrazia. Ma ricordiamolo ancora una volta: un conto è la battaglia politica ed un conto la ricerca filosofica. Certo, la verità per noi non va mai tradita, nemmeno per il bene del popolo o per una emergenza politica: ed infatti, nel contrastare il governo Renzi e la riforma Boschi, giungiamo perfino a rivendicare la costituzione attuale come se fosse una cosa *quasi* sacra. Ma è quel “quasi” che fa la differenza. D'altra parte, il nostro amore per la costituzione dei nostri Padri è autentico: la amiamo come un bellissimo poema e una venerabile reliquia, di un passato venerabile. Ma, per fare un esempio chiarificatore: amiamo e veneriamo pure la “Divina Commedia”, però non vorremmo che oggi si poetasse così, né che si condividesse ancora la visione teologica che ispirò quel capolavoro.
Si è detto che la opportunità di istituire una “magistratura straordinaria” che sia una “dittatura breve”, cozza contro la Costituzione ed anche contro il sentire comune, che ha generato ed è stato a sua volta generato da quel sistema di leggi. Questo duplice ostacolo è ben rappresentato da un articolo reperibile in internet ( http://www.instoria.it/home/dittatura_anitca_roma.htm ), che descrive la dittatura contemplata dalla costituzione della Repubblica romana: “ essa appare, anche alla luce delle esperienze storiche del secolo scorso, come la negazione assoluta del liberalismo e della democrazia, quali forme di condivisione del potere politico e della sovranità, tra i componenti di una comunità nazionale fatta di cittadini dotati di pari diritti.
Per questi motivi sarebbe impossibile oggi concepire una dittatura all’interno di un sistema politico democratico, poiché agli occhi dei moderni si scadrebbe inevitabilmente in un ossimoro.
Nel corso dell’antichità romana, tuttavia, il concetto di dittatura era molto diverso. Essa era infatti pienamente inserita tra le magistrature previste dall’ordinamento repubblicano. Secondo la classificazione fatta in seguito dagli studiosi, Mommsen in testa, si trattava di una magistratura straordinaria, dotata di alcune peculiarità che la distinguevano nettamente dalle tutte le altre, definite invece ordinarie.
Le sue caratteristiche principali erano tre: la temporaneità, la pienezza dei poteri e la procedura di designazione del dittatore. Il ricorso alla dittatura avveniva solo in frangenti di crisi per la repubblica, come i casi di guerra o di grave crisi politica interna. Il dictator veniva scelto e nominato dai consoli, con l’implicito assenso del Senato, tra personaggi di chiara fama, di solito ex consoli che si erano distinti per le loro capacità politiche o militari. Una volta scelta la persona adatta a ricoprire il ruolo, questa veniva nominata con una cerimonia dai caratteri quasi religiosi; al dittatore venivano inoltre conferiti ventiquattro littori, simboli del potere supremo....”.
E torniamo infine al nocciolo: in che modo introdurre un meccanismo salvifico come la dittatura a termine, nella società italiana attuale, se lo stesso concetto di questa riforma cozza contro la Costituzione e contro il sentire comune che a quella si correla, se viene respinto come un ossimoro? Attraverso una paziente elaborazione culturale. E' quello che anche noi già ora stiamo facendo, con questo scritto. E' quello che la società attuale sta faticosamente, ed ancora inconsapevolmente, cercando adesso di generare, e domani di partorire: un pensiero politico nuovo, affrancato dalla imprescindibile categoria della “democrazia”.
(Continua)
Il dramma di coscienza evocato nell'ultimo post, si generò nel mio animo a sproposito, per effetto di una determinata crisi dell'economia che non era affatto “intrinsecamente necessaria” né prodotta dalle dinamiche interne e “spontanee” del sistema politico-sociale in cui avveniva, bensì era provocata da blocchi, pressioni ed infiltrazioni di una super-potenza straniera, la quale intendeva far crollare il regime socialista cileno: l'embargo economico di cui soffriva il Cile allora, non era evidente se non a chi lo pativa; e solo in seguito si sarebbe saputo che certi movimenti di protesta esplosiva ed ingestibile, come la interminabile agitazione dei camionisti cileni, erano commissionati e pagati dagli Stati Uniti. Chissà quante altre cose vi furono allora che io non conosco, nella mia spaventosa ignoranza; chissà quante e quali altre nessuno ancora conosce. La fame del popolo non era determinata dalle “scellerate riforme” di tipo socialista, come si faceva credere tramite i giornali, ma era imposta dall'esterno.
Se io avessi saputo queste cose al tempo del conflitto psicologico di cui sopra, lo stesso dibattimento interiore non vi sarebbe stato: è infatti per me un ideale di vita e un convincimento profondo, che alla violenza non ci si debba sottomettere; ed inoltre, se anche accantoniamo la democrazia come stella polare e come valore assoluto (fu allora, dicevo, che la stessa democrazia mi apparve in tutta la sua relatività, dal punto di vista assiologico), rimangono vivi più che mai, e più ancora di prima, gli ideali che devono colmare il vuoto e rassicurare la coscienza individuale: la non-violenza, il rispetto delle persone, la solidarietà e la giustizia. La dittatura di Pinochet calpestò queste istanze, oltre a calpestare la democrazia. Pinochet, appunto: mentre compiva il colpo di stato, non si sapeva ancora con certezza se fosse “cattivo”, o fosse un patriota e volesse soltanto salvare il suo popolo dalla fame, dalla disperazione e dal cannibalismo, tramite una presa del potere dettata dalla contingenza, e provvisoria. La mancanza di una impossibile conoscenza preventiva, teneva aperto il mio conflitto, del quale ho riferito.
Siffatta tensione interiore si generò a sproposito, come dicevo all'inizio, ma dalla vita si impara sempre qualcosa, anche dalle esperienze sbagliate e dalle valutazioni inesatte date in buona fede. Se la crisi cilena fosse stata determinata da fattori intrinseci alle scelte di politica economica e sociale compiute dal governo Allende, e se Pinochet non si fosse mai macchiato di uccisioni, torture ed altre efferate violenze ai danni degli oppositori e di povera gente inerme, quest'ultimo sarebbe stato un patriota e la sua dittatura sarebbe da approvare. Ma così non fu per due motivi, e ne basterebbe uno solo, uno qualsiasi dei due, per maledire il tiranno cileno; ma ve ne sono addirittura due.
Facciamo adesso un paragone tra la crisi del Cile di Allende e la crisi dell'intera umanità attuale. Una traslazione non è possibile, per i motivi tratteggiati fin qui. La crisi cilena era imposta con violenza estrinseca, mentre quella attuale ha una matrice che valutiamo intrinseca: il venir meno delle risorse materiali, e il deterioramento dell'ambiente, a causa della “crescita” economica. Nel post che precede, abbiamo valutato forse opportuna e forse addirittura necessaria, una “dittatura illuminata” per uscire dalla crisi attuale, per salvare il pianeta e le specie viventi, noi compresi. E qui sorge una difficoltà: come evitare che prenda il potere un salvatore della Patria che si rivelerà in seguito un mostro, come fu il caso di Pinochet (che a tanti appariva buono, quando insorse)?
Ci siamo appigliati nel post precedente ad una prassi della antica Roma, che era garantita dalla stessa costituzione della Repubblica romana: eleggere un dittatore in caso di difficoltà straordinarie nella vita della società, per risolvere quelle crisi. Alcuni storici ci dicono che questa modalità di dittatura era elevata addirittura al rango di “magistratura straordinaria”; era una funzione comunque costretta entro precisi limiti temporali: il dittatore restava in carica fino al superamento della situazione critica per la quale era stato eletto, e comunque non oltre sei mesi di tempo. Volendo ereditare dai nostri saggi antenati un simile meccanismo salvifico, del quale abbiamo forse bisogno, troveremmo due ostacoli, due barriere che appaiono a prima vista insormontabili: la nostra attuale Costituzione ed il nostro attuale sentire comune. Sono due motivi distinti ma correlati.
La Costituzione è infarcita del sentire comune “democratico”, dal quale deriva come reazione al fascismo, e a sua volta interagisce ed alimenta questa sensibilità; con il suo apparato concettuale inoltre veste la stessa sensibilità. Apparirà strano, forse contraddittorio, che proprio di questi tempi, mentre siamo tutti impegnati a difendere la Costituzione da tentativi di cambiamento operati dall'attuale potere politico... in questa sede, in questa nicchia di pensiero, suggeriamo invece la necessità di superare nei fondamenti la stessa Carta, la quale è un inno alla democrazia. Ma ricordiamolo ancora una volta: un conto è la battaglia politica ed un conto la ricerca filosofica. Certo, la verità per noi non va mai tradita, nemmeno per il bene del popolo o per una emergenza politica: ed infatti, nel contrastare il governo Renzi e la riforma Boschi, giungiamo perfino a rivendicare la costituzione attuale come se fosse una cosa *quasi* sacra. Ma è quel “quasi” che fa la differenza. D'altra parte, il nostro amore per la costituzione dei nostri Padri è autentico: la amiamo come un bellissimo poema e una venerabile reliquia, di un passato venerabile. Ma, per fare un esempio chiarificatore: amiamo e veneriamo pure la “Divina Commedia”, però non vorremmo che oggi si poetasse così, né che si condividesse ancora la visione teologica che ispirò quel capolavoro.
Si è detto che la opportunità di istituire una “magistratura straordinaria” che sia una “dittatura breve”, cozza contro la Costituzione ed anche contro il sentire comune, che ha generato ed è stato a sua volta generato da quel sistema di leggi. Questo duplice ostacolo è ben rappresentato da un articolo reperibile in internet ( http://www.instoria.it/home/dittatura_anitca_roma.htm ), che descrive la dittatura contemplata dalla costituzione della Repubblica romana: “ essa appare, anche alla luce delle esperienze storiche del secolo scorso, come la negazione assoluta del liberalismo e della democrazia, quali forme di condivisione del potere politico e della sovranità, tra i componenti di una comunità nazionale fatta di cittadini dotati di pari diritti.
Per questi motivi sarebbe impossibile oggi concepire una dittatura all’interno di un sistema politico democratico, poiché agli occhi dei moderni si scadrebbe inevitabilmente in un ossimoro.
Nel corso dell’antichità romana, tuttavia, il concetto di dittatura era molto diverso. Essa era infatti pienamente inserita tra le magistrature previste dall’ordinamento repubblicano. Secondo la classificazione fatta in seguito dagli studiosi, Mommsen in testa, si trattava di una magistratura straordinaria, dotata di alcune peculiarità che la distinguevano nettamente dalle tutte le altre, definite invece ordinarie.
Le sue caratteristiche principali erano tre: la temporaneità, la pienezza dei poteri e la procedura di designazione del dittatore. Il ricorso alla dittatura avveniva solo in frangenti di crisi per la repubblica, come i casi di guerra o di grave crisi politica interna. Il dictator veniva scelto e nominato dai consoli, con l’implicito assenso del Senato, tra personaggi di chiara fama, di solito ex consoli che si erano distinti per le loro capacità politiche o militari. Una volta scelta la persona adatta a ricoprire il ruolo, questa veniva nominata con una cerimonia dai caratteri quasi religiosi; al dittatore venivano inoltre conferiti ventiquattro littori, simboli del potere supremo....”.
E torniamo infine al nocciolo: in che modo introdurre un meccanismo salvifico come la dittatura a termine, nella società italiana attuale, se lo stesso concetto di questa riforma cozza contro la Costituzione e contro il sentire comune che a quella si correla, se viene respinto come un ossimoro? Attraverso una paziente elaborazione culturale. E' quello che anche noi già ora stiamo facendo, con questo scritto. E' quello che la società attuale sta faticosamente, ed ancora inconsapevolmente, cercando adesso di generare, e domani di partorire: un pensiero politico nuovo, affrancato dalla imprescindibile categoria della “democrazia”.
(Continua)
Davide Selis- Messaggi : 48
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